PALERMO – “… dispone la restituzione degli oggetti di bigiotteria di cui al verbale di sequestro del 24 gennaio, delegando per l’esecuzione la Compagnia dei carabinieri di Termini Imerese”, scrive la Corte di assise di Palermo nel dispositivo della sentenza con il freddo, ma inevitabile, formalismo della giustizia.
Gli oggetti sono stati consegnati ad una madre, che li ha sistemati sulla consolle in camera della figlia. Sono i tasselli di una vita che non si può ricomporre.
Un bracciale con un cuore e un’incisione: “Se puoi sognarlo, puoi farlo”, ma non ci sono più sogni da coltivare. Un orologio, che scandisce il tempo, ma è un tempo immobile, eternamente vuoto. Un altro bracciale con un lucchetto che suggella un legame indissolubile, ma che qualcuno ha spezzato.
Gli oggetti sono tornati a casa. Posizionati accanto a trucchi, smalti e profumi. C’è una foto, ma non c’è lei ad indossarli. Lo aveva fatto un’ultima volta per una festa di compleanno. Era rientrata a casa, si era tolta orologio e bracciali, come faceva sempre, e li ha aveva posati sul mobile.
Non li avrebbe più indossati. Lei si chiamava Roberta Siragusa. Aveva 17 anni. Nella notte tra il 23 e il 24 gennaio 2020 è stata assassinata, a Caccamo. Brutalmente assassinata, come hanno stabilito i giudici di primi grado, dal suo ex fidanzato Pietro Morreale, condannato all’ergastolo. Ci sarà l’appello.
“Giustizia è fatta, ma mia figlia non tornerà”, dice la madre, Iana Brancato.