PALERMO – Dalle pieghe dell’inchiesta sui “baroni universitari” del Policlinico di Palermo viene fuori la storia di una piscina abusiva nella casa del professore Mario Adelfio Latteri. Quest’ultimo nelle scorse settimane è stato interdetto per un anno dall’esercizio della professione di chirurgo.
La “vasca” o “gebbia”
La chiamavano “vasca” o “gebbia” per mascherare il fatto che si trattasse di una piscina in una zona sotto vincolo paesaggistico. I carabinieri del Nas hanno chiesto alla Procura di Palermo di valutare il caso ed eventualmente trasferire il fascicolo per competenza alla Procura di Messina visto che la casa si trova a Caronia. A meno che non vengano fuori eventuale ipotesi di reato commesse a Palermo.
Su delega della Procura i carabinieri intercettavano Latteri e il professore Gaspare Gulotta (il primo ha preso il posto del secondo, andato in pensione, al vertice del dipartimento di Chirurgia). Si parlava di spartizione dei posti ai concorsi per medici, di favori a parenti e amici per scavalcare le liste di attesa per una visita o un intervento chirurgico. Gulotta si trova agli arresti domiciliari. Il Riesame nei giorni scorsi ha respinto l’istanza di scarcerazione avanzata dalla difesa.
“Una piccola pratica”
Intercettando Latteri è venuta fuori pure la storia della piscina, 6 metri di diametro per 1,5 di profondità. La richiesta per la costruzione della piscina sarebbe stata presentata dalla moglie del professore che è stato registrato mentre parlava con due architetti e un funzionario della Soprintendenza ai beni culturali e ambientali a cui chiese di seguire “la piccola pratica”.
Qualcosa da nascondere?
Ammetteva che c’era qualcosa da nascondere. Protestava per il fatto, così hanno annotato i carabinieri, “che solo a Messina non accettano che si faccia una piscina di 5 metri, a Palermo la fanno e a Trapani la fanno”. Al commerciante a cui si rivolge spiegava che la parola piscina non doveva comparire nelle caratteristiche tecniche. Si doveva parlare di vasca per la raccolta di acqua, senza motori. La scheda gli serviva per allegarla ai documenti da consegnare al Comune.
L’ultima conversazione sulla vicenda è dell’ottobre 2020. Qualcuno dal Comune aveva fatto sapere che servivano “altri documenti”. La questione, secondo gli inquirenti, merita un approfondimento investigativo per capire se i lavori sono andati avanti o si sono fermati in attesa di ripartire.