Palermo, mafia, condannati il boss e il fratello della vedova Schifani

Mafia, condannati il boss e il fratello della vedova dell’agente Schifani

Gaetano Scotto in processione assieme alla statua di Sant'Antonio

PALERMO – Vent’anni al boss dell’Arenella Gaetano Scotto, 12 anni ciascuno al fratello Francesco Paolo e a Giuseppe Costa. Sono le condanne inflitte dalla quinta sezione del Tribunale di Palermo, presieduta da Donatella Puleo. Gli imputati erano stati arrestati nel 2020 in un blitz della Direzione investigativa antimafia. Giuseppe Costa è fratello della vedova dell’agente di scorta Vito Schifani, morto nell’attentato al giudice Giovanni Falcone il 23 maggio del 1992. “Per me è come se fosse morto ieri”, disse la donna una volta appresa la notizia dell’arresto.

Il boss in processione

L’inchiesta coordinata dai pubblici ministeri Amelia Luise (oggi alla Procura europea) e Giorgia Righi svelò che nel quartiere attendevano con trepidazione il ritorno di Gaetano Scotto. La sua scarcerazione, avvenuta nel gennaio 2016, fu celebrata in maniera pomposa. Scotto e la fidanzata salirono a bordo del peschereccio che trasportava la statua di Sant’Antonio da Padova, patrono della borgata marinara dell’Arenella. Era il più forte dei segnali di rispetto per il boss, allora scagionato dall’accusa di avere partecipato alla strage di via D’Amelio nel processo costruito sulle bugie dei falsi pentiti.

Il boss Gaetano Scotto

Scotto spiegava alla donna che “aspettavano lui” per portare in processione il simulacro del santo: “…tutti sono contenti perché io vengo nel giusto…”, diceva il boss riferendosi al pizzo imposto nel quartiere. I tanti consideravano il pagamento della tassa di Cosa Nostra come un atto dovuto per l’autorevolezza del capomafia. C’era la fila per parlare con Scotto. Lo “stigghiolaro” che voleva piazzare la bancarella, il venditore di sigarette di contrabbando, il “bibitaro”, il fornitore di calcestruzzo, il negoziante di detersivi: in tanti si rivolgevano al boss per avere il permesso di avviare un’attività abusiva o per intercedere presso qualcun altro.

Il fratello della vedova Schifani

Gli riconoscevano l’autorevolezza del capo. “C’è un picciotto che vuole mettere una putia? Non ci sono problemi”; “Lui sta facendo la pizzeria sul furgone… mi ha detto: sai sono andato in un posto, per mettermi là e mi hanno detto di andarmene che fa non conosci nessuno?”: sono alcune delle frasi intercettate.

Giuseppe Costa

Costa, soprannominato “Pinuzzu u checco” per via della balbuzie, avrebbe raccolto i soldi del pizzo e gestito la cassa della famiglia dell’Arenella. Tra i suoi compiti anche l’assistenza ai parenti dei carcerati. Addirittura alcuni boss gli avrebbero cucito addosso il ruolo di uomo riservato del clan perché temevano che se si fosse esposto troppo e fosse finito in carcere sarebbe stato un guaio enorme per tutti.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI