Palermo, la vecchia condanna e lo stop antimafia ora revocato

Palermo, la vecchia condanna e lo stop antimafia ora revocato

Un imprenditore vince il ricorso al Cga

PALERMO – Una vecchia condanna, per altro con il beneficio della sospensione condizionale della pena, non può fare scattare, da sola e automaticamente, un’interdittiva antimafia. È una sentenza destinata a fare scuola quelle emessa dal Consiglio di giustizia amministrativa (presidente Ermanno de Francisco, estensore Antonino Caleca).

Il vecchio patteggiamento

Il Cga ha accolto il ricorso di un imprenditore agricolo, difeso dagli avvocati Luciano Termini e Giovanni Immordino, che nel 2010 aveva patteggiato una condanna a due anni per favoreggiamento aggravato in favore del capomafia di Caccamo Nino Giuffrè, poi divenuto collaboratore di giustizia, e intestazione fittizia di beni. I fatti risalgono a più di 20 anni fa.

Nel 2007 il Tribunale per le misure di prevenzione aveva respinto la proposta di applicazione della sorveglianza speciale e del divieto di soggiorno perché la pericolosità sociale non poteva essere desunta solo dai fatti per cui l’imputato aveva patteggiato, ottenendo il beneficio della sospensione condizionale della pena. Da allora l’uomo non ha più avuto frequentazioni con pregiudicati. Successivamente, però, il prefetto emanò un’interdittiva perché dopo la condanna non c’era stata una sentenza di riabilitazione.

Il ricorso al Cga

Cosa avvenuta un anno fa, tanto che il prefetto ha revocato il provvedimento sottolineando “che dall’aggiornata, ulteriore attività istruttoria espletata sul conto dello stesso non sono emersi rilevanti, nuovi utili elementi informativi e valutativi, sufficientemente qualificanti, per comprovare il rischio concreto ed attuale di possibili tentativi di infiltrazioni mafiose nella gestione della ditta in
questione…”. L’imprenditore non i è accontentato e ha fatto lo stesso ricorso al Cga affinché venisse ribaltato il verdetto del Tar che gli aveva dato torto.

Il Cga è chiaro: “La condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire in alcun caso, di per sé sola, motivo per l’applicazione di misure di prevenzione, né d’impedimento all’accesso a posti di lavoro pubblici o privati tranne i casi specificamente previsti dalla legge, né per il diniego di concessioni, di licenze o di autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa”.

Il perché è presto detto: il legislatore “ha voluto creare le condizioni per cui il soggetto meritevole della sospensione della pena non patisca esclusione dal mercato del lavoro e dal civile consesso, valorizzando il profilo special preventivo dell’istituto della sospensione, in quanto diretto a non frustrare le istanze rieducative ed a garantire il reinserimento sociale del reo”.

Sarebbe d’altra parte irragionevole, si legge nella sentenza, “che da una parte il legislatore affermi in modo categorico che dalla pena sospesa non devono derivare le conseguenze negative ivi indicate e dall’altra faccia derivare dalla mera sospensione della pena le medesime conseguenze interdittive, con una palese violazione del più ampio principio di non contraddizione dell’ordinamento giuridico. Le norme che disciplinano le comunicazioni antimafia non sono norme speciali rispetto alle norme del codice penale”.


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