Palermo, mafia: il re dei supermercati "lucrava sui lavoratori"

Il re dei market: “Protetto dalla mafia, lucrava sui lavoratori”

Carmelo Lucchese è indagato per truffa

PALERMO – Il re dei supermercati, cresciuto in maniera esponenziale all’ombra della mafia, avrebbe trovato uno stratagemma per lucrare sui lavoratori. L’ultima trovata di Carmelo Lucchese sarebbero stati i contratti di solidarietà. Un meccanismo previsto in condizioni di crisi. I dipendenti lavorano meno ore, il titolare anticipa le somme che poi recupera sotto forma di credito contributivo al momento di pagare le tasse.

Ed ecco il nodo della questione. I finanzieri hanno sentito i dipendenti ed è emerso che l’orario di lavoro non è stato diminuito. Al contrario erano impiegati più tempo di quanto previsto dal contratto. Molti di loro neppure erano a conoscenza della procedura del contratto di solidarietà, ne sono venuti a conoscenza nel momento in cui, busta paga alla mano, hanno chiesto dei prestiti a società finanziarie. Lo stratagemma avrebbe indotto in errore l’Inps. Il risultato sarebbe stato l’ingiusto profitto del credito contributivo che ammonta a 1,4 milioni di euro. Ed è scattato il sequestro.

La Gamac srl, a cui fanno capo 13 supermercati a Palermo e provincia gestiti in amministrazione giudiziaria, è stata confiscata l’anno scorso. Nato 56 anni fa ad Harlan am Main, in Germania. Lucchese avrebbe avuto un potente alleato nella sua scalata imprenditoriale: Cosa Nostra. Ciò sarebbe avvenuto almeno fino al 2011. Dopo questa data, secondo il Tribunale per le misure di prevenzione, i rapporti si sarebbero interrotti. Tanto è bastato per arrivare alla confisca del patrimonio. Una confisca di primo grado, dunque non definitiva.

Nel 2002 Lucchese era titolare di tre piccoli supermercati a Bagheria con un patrimonio di 229.000 euro. Nel 2019 aveva sfondato il tetto dei 150 milioni di euro. Il volume di affari era passato da poco più di 4 milioni a 73 milioni di euro. Nel 2016 è sbarcato a Palermo. A parlare di Lucchese sono stati diversi collaboratori di giustizia, primo fra tutti Sergio flamia, boss pentito di Bagheria. Raccontò che Onofrio Monreale, allora capo mandamento, “gestiva tutto a lui… ogni minima cosa veniva da me… sai che ho problemi con questa impiegato, sai che…”.

Successivamente Lucchese si sarebbe avvicinato ad un altro pezzo grosso della mafia bagherese, l’anziano Giuseppe Scaduto che si sarebbe attivato affinché non pagasse il pizzo. Non era l’unico favore: quando c’era da allontanare o scoraggiare la concorrenza i mafiosi si facevano avanti. Dopo una delle tante operazioni antimafia a Bagheria le cose però cambiarono. Ancora Flamia: “Pagava 500 al mese, 3.000 per Natale e 3.000 per Pasqua a Palermo. Dopo gli arresti hanno bussato di nuovo alla porta di Lucchese che volevano 5.000 e 5.000 il doppio di quelli che usciva… lui mi chiede aiuto”. A quel punto Flamia ne avrebbe parlato con Gino Mineo, altro boss, “che l’ha sistemata lasciando tutto per com’era”. La tassa di Cosa nostra andava pagata. In cambio l’imprenditore avrebbe ottenuto la protezione dei mafiosi.


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