PALERMO – L’elenco degli arrestati nel blitz della notte si apre con il nome di Michele Micalizzi, 73 anni. Sarebbe stato lui a guidare la famiglia mafiosa di Tommaso Natale. La nuova ordinanza di custodia cautelare lo raggiunge in carcere dov’era finito l’anno scorso e dove in passato era rimasto per venticinque anni. Si è rimesso in affari, soprattutto con i grandi traffici di droga, ma imponeva anche il pizzo a tappeto.
Che fosse tornato in pista emergeva già nel 2017 dalle parole del reggente del mandamento Giulio Caporrimo, che nei suoi sfoghi diceva che qualcuno che ce l’aveva a morte con Micalizzi per la sua anarchia: “… io sto capendo che tu vai girando ovunque con quale autorizzazione al mandamento non si capisce…“.
Genero di don Saro Riccobono
Michele Micalizzi, dunque, girava. Il suo è un nome della vecchia mafia. I boss hanno aspettato la fine dell’era corleonese per rifasi sotto. Con lui discuteva Tommaso Inzerillo nel 2017 uno degli scappati della guerra di mafia. Gli spiegava che si era attivato affinché anche al cugino Francesco Inzerillo, per lui era già avvenuto, venisse perdonata la sua appartenenza alla mafia perdente, schiacciata dai corleonesi negli anni Ottanta. Tommaso si era rivolto ai boss che comandavamo su Palermo per superare il diktat di quel “cornutone” di Nino Rotolo, boss ergastolano di Pagliarelli, il principale oppositore al rientro degli scappati caldeggiato da Salvatore Lo Piccolo, boss di San Lorenzo. Sono tutti in carcere da anni e Micalizzi ne ha approfittato. L’uomo del dialogo era Settimo Mineo, il boss di Pagliarelli che ha presieduto la commissione samtellata nel 2018.
Gli uomini più fidati
Dopo la reggenza di Caporrimo il potere era passato a Francesco Palumeri per volere di Calogero Lo Piccolo, figlio dello storico capomafia Salvatore e fratello di Sandro. Sono tutti in carcere. L’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia ricostruisce il ruolo di Micalizzi e degli altri arrestati. Al fianco dell’anziano boss si muoveva Gianluca Spanu, 35 anni.
Dopo lunghi periodi trascorsi in carcere Domenico Caviglia ed Amedeo Romeo, entrambi di 45 anni, sarebbero rientrati nelle famiglie dello Zen e di Tommaso Natale, mentre Rosario Gennaro, 57 anni, avrebbe ricoperto il ruolo di soldato alle dipendenze di Romeo.
Lite fra fratelli e tentato omicidio
A Carmelo Cusimano, 49 anni, viene contestato il tentato omicidio per fratello Anello. Si è salvato perché si è spezzata la lama del coltello. Sono entrambi fratelli di Giuseppe Cusimano, reggente assieme a Francesco L’Abbate della famiglia mafiosa dello Zen. Fu necessario l’intervento, tra gli altri, di Michele Micalizzi e Salvo Genova, boss di Resuttana arrestato due giorni fa, per mettere a tacere la furiosa lite.
Il “guardiano” e la protezione mafiosa
Matteo Pandolfo, 47 anni, e Rosario Gennaro si sarebbero passati il testimone per taglieggiare una decina di ristoratori di Sferracavallo e Mondello. Imponevano protezione e forniture di pesce e frutti di mare: “Vedi che per ora il guardiano sono io qua… mi ha mandato pure il messaggio che ci sei scritto pure tu… se a me Amedeo mi dice di andare…”, diceva Gennaro.
A volte erano gli stessi ristoratori a chiedere la protezione. I boss evitavano la concorrenza di possibili nuove aperture, mettevano a tacere qualche testa calda che faceva baldoria nei locali e si mettevano al riparo da furti e rapine. “Gentilmente a che sei qua se puoi passare di là e dargli un’occhiata”, chiese un ristoratore a Gennaro che si confidava con una amica: “Gli ho detto sì certo che lo posso fare, 150 euro per come pagano gli altri paghi tu”.
“Un bordello di soldi”
Gli affari andavano bene. Una volta la moglie di Gennaro trovò “un bordello di soldi” nel portafoglio e il “guardiano” le spiegò che “non sono tutti i miei”. Poi si gonfiava il petto: “Volevo arrivare all’intento che si devono spaventare a Sferracavallo di me… ci sono arrivato”.
Vincenzo Garofalo, 36 anni, e il figlio di Michele Micalizzi, Giuseppe, 35 anni, avrebbero minacciato di morte e picchiato un uomo che aveva rubato un’auto senza autorizzazione. Giuseppe Guida, 48 anni, e Francesco Nappa, 37 anni, avrebbero imposto il cavallo di ritorno: soldi per restituire la macchina rubata a una donna. Sono tutti in carcere, tranne Guida, Garofalo e Nappa a cui sono stati concessi gli arresti domiciliari con l’obbligo del braccialetto elettronico.