PALERMO – “Signor Giudice, mi scusi, la mia precisazione era riguardo le dichiarazioni di Gaetano Fontana, del signor Gaetano Fontana, che conosco come i suoi fratelli, conoscevo suo padre, e conosco anche i suoi parenti, i Galatolo”.
Nel processo di primo grado che si chiuse con la condanna (lo stesso nell’ambito del quale ieri, martedì 22 ottobre, la Corte di appello ha ordinato la sua scarcerazione) Giuseppe Corona fece lunghe dichiarazioni spontanee.
L’obiettivo era smentire Gaetano Fontana, sulla cui genuina collaborazione con la giustizia dubitavano gli stessi pubblici ministeri di Palermo (Fontana nei giorni scorsi è stato condannato e arrestato). Scelta strana quella di Corona che finì per raccontare fatti e circostanze nuove.
Arrestato nell’estate del 2018 con l’accusa di essere affiliato alla famiglia di Resuttana, ma molto legato ai mafiosi di Porta Nuova. In realtà Corona era già stato a lungo detenuto per omicidio: aveva ucciso un ragazzo nel corso di una banale lite per un braccialetto.
“Non è corso mai buon sangue”
Non si sono mai piaciuti Corona, i Fontana e i Galatolo perché, raccontò, “non è corso mai buon sangue tra me e questi ragazzi, si può dire, perché qualcuno voleva fare il bullo ma siccome io sono stato sempre un soggetto impulsivo e una volta ho litigato davanti al bar Scatassa, lui se lo dovrebbe ricordare, Gaetano Fontana, ho litigato con Stefano Galatolo, con Angelo Galatolo figlio di Vincenzo, eravamo ragazzi, cose da ragazzi, e poi sono corsi tutti. Comunque in ordine a questo insomma c’è stata una frequenza perché io frequentavo quel quartiere e ci avevamo amici in comune che adesso insomma dirò dei particolari come ho conosciuto gradualmente i fratelli Fontana”.
Innanzitutto conobbe il padre, alla fine degli anni Ottanta: “… il padre intanto l’ho conosciuto io nell’89, ’88-’89, perché anche suo padre giocava a carte, suo padre giocava pure a zicchinetta o a bacarà, giocava, e io l’ho conosciuto in un’occasione in via Oreto… in uno scantinato dove si giocava a zicchinetta”.
I primi guai giudiziari
Poi iniziarono i guai giudiziari: “Nel ‘91 mi arrestano per oltraggio e lesioni a pubblico ufficiale, e mi ha fatto arrestare un amico dei Fontana, un amico dei Fontana, Giuseppe Di Stefano. Mi hanno arrestato a me e a Ruisi Gaetano, Ruisi Gaetano aveva una Renault undici turbo e gliela aveva prestata a questo Giuseppe Di Stefano, detto il capellone, è morto questo, signor giudice, e le dico ora pure come è morto. Praticamente che cosa è successo? Questo scappò dal posto di blocco nell’aprile del ’91, ci ha riconsegnato la macchina a Ruisi e non gli ha detto che era scappato al posto di blocco. Praticamente noi siamo usciti con questa macchina di sera, appena la polizia ci ha visti ci ha inseguiti, comunque morale della favola mi arrestano, mi arrestano e mi portano all’Ucciardone alla nona sezione”.
“Gli ospiti illustri” dell’Ucciardone
All’Ucciardone di “ospiti illustri” nel mondo di Cosa Nostra ce n’erano parecchi. Stefano Fontana era uno di questi: “Alla nona sezione io affaccio dalla finestra perché era isolata e vedo suo padre, Stefano Fontana, perciò lo conoscevo, l’ho chiamato. Ciao, ciao, ‘hai bisogno di qualcosa?’, ‘sì, sono senza sigarette’, e mi ha mandato tre pacchetti di Merit”.
Tra i primi componenti della famiglia Galatolo con cui Corona ha raccontato di avere avuto rapporti c’è Stefano Galatolo. Si sono conosciuti nel 1992 mentre Corona era detenuto per una rapina “e quindi ho avuto modo di parlare e di sapere, perché sono molto logorroici, sono uomini d’onore, dalla pancia non esce niente ma dalla bocca non si sa quello che esce, non si sa, sono stati sempre così tutti”.
“A piazza Unità d’Italia…”
“Dopodiché io sono uscito e conoscevo di vista Gaetano Fontana… conoscevo il padre, lo incontravo così, sporadicamente l’ho incontrato, una volta mi pare che l’ho incontrato pure a piazza Unità d’Italia, insomma per quello che io potevo gli davo qualche buon consiglio, poi dal ’94 io sono entrato in carcere, c’è stata un’interruzione di sei mesi, dal ’94 fino al 2011, 18 novembre 2011, perché ho pagato un omicidio, e lì cosa avvenne?… sono stato in carcere dal ’94, e in questo frangente mi pare dal ’94- ’95 c’è stato Angelo Galatolo figlio di Pino in cella con me… nel ’96 ero a Porto Azzurro… mi hanno dato un permesso con la scorta per andare da mia sorella, perché praticamente mentre ero in decorrenza termini ero in libertà nel ’96, appunto questi sei mesi che io sono stato fuori, mi è arrivato il definitivo ventitré anni di carcere”.
Alla fine di anni di carcere ne ha scontato 17 anni per un omicidio commesso dopo una banale lite per la restituzione di un braccialetto: “… mi sono fatto le valigie e per non stare a Palermo, per non stare all’Ucciardone o al Pagliarelli, mi sono costituito alla Gorgona, poi da la Gorgona mi hanno portato a Livorno e da Livorno dove c’era suo padre, appunto a Livorno, il padre di Gaetano Fontana, e mi portarono a Porto Azzurro. Comunque a Porto Azzurro è successa sta cosa di mia sorella e mi hanno dato questo permesso di due ore per andare a casa di mia sorella a Monreale, e mi hanno appoggiato nella cella di suo cugino Vito Galatolo, figlio di Vincenzo”.
Fatti di sangue
Alcuni ricordi di Corona sono sono legati a fatti di sangue: “… questi sono stati tutti coinvolti nell’omicidio di Onorato, di Agostino Onorato, quel ragazzo che aveva… offesa e lo hanno ammazzato, e questi ragazzi che si stavano vedendo la partita a casa di Stefano Galatolo, perché Stefano Galatolo è sposato con Giusy Canfarotta, allora erano fidanzati, l’unico sposato ero io di questa comitiva si può dire, il sabato sera siamo usciti, c’è stato un diverbio fra noi ragazzi, insomma noi amici, sto parlando quando è successo l’omicidio di questo nel ’95 se non sbaglio, e l’unico…”.
“La domenica sera c’era la partita della Juventus, ci dovevamo vedere la partita a casa di Galatolo Stefano, ma io non ci sono andato come non ci è andato Tony Trapani, come non ci è andato… e c’erano solo i cugini, e questi ragazzi hanno avuto, sono stati condannati tra le altre cose, hanno avuto una colpa sola, di andare a vedere la partita a casa di Stefano Galatolo, Stefano Galatolo non c’entra niente con l’omicidio… so che è stato condannato, io ero in galera”.
Corona dimostrava di conoscere bene la storia del delitto del nipote del pentito Francesco Onorato, dietro cui si disse che c’era uno sgarbo subito da una ragazza.
Ci sono dei particolari su cui Corona sembrava volutamente non entrare nel merito: “Ripeto a dire taglio carne e ossa, c’è stato chi gli ha detto che glielo lasciava là, ha detto ‘o mi aiuti o tu lassu cà’, te lo lascio qua, una cosa giusta, una cosa onesta a farici pigghiari a condanna ai cristiani”.
Altro affondo contro l’aspirante collaboratore di giustizia: “Gaetano Fontana, insomma dice che è collaboratore di giustizia, vuole fare il collaboratore di giustizia, ma deve dire la verità, non è che deve dire le cose che gli convengono, deve dire la verità, perché la verità fa bene sia per lui e per tutti, magari rinfresca l’anima a qualcuno che non c’è più, a qualcuno che insomma… magari qualcuno è in carcere con l’ergastolo e sta pagando una cosa che non ha fatto, che non ha commesso, e lui lo può sapere, lo può sapere lui”.
Angelo Fontana, l’Americano
Poco tempo dopo una notizia sconvolse il clan: “Comunque dopo tre, quattro mesi suo zio si è pentito e ha detto le cose per come gli convenivano a lui, perché un particolare eclatante la collaborazione di suo zio Angelo Fontana l’americano e dice che aveva partecipato all’attentato del giudice Falcone, ma si dà la fatalità che Angelo Fontana l’americano era in America, aveva la firma, doveva andare a firmare, era sorvegliato speciale in America, e lui aveva dichiarato che era là a fare l’attentato insieme ad Angelo Galatolo figlio di Pino e altri, ma questa è praticamente una prova schiacciante, che pur di ottenere la collaborazione, il pentimento, i benefici di Stato, si vendono l’anima, l’anima se la vendono, se la vendono l’anima, non guardano in faccia a nessuno”.
Angelo Fontana, pentito ed ex mafioso dell’Acquasanta, a colloquio coi pm di Caltanissetta, dichiarò di essersi inventato tutto sul fallito attentato al giudice palermitano del 21 giugno 1989. Disse di avere partecipato alla preparazione in realtà si trovava negli Stati Uniti con obbligo di firma. Corona, il boss scarcerato per decorrenza dei termini, sottolineò le sue bugie.