Palermo, l'omicidio del boss: ricorso respinto, Lipari resta in carcere - Live Sicilia

Palermo, l’omicidio del boss: ricorso respinto, Lipari resta in carcere

Onofrio Lipari e Giuseppe Di Giacomo
Pesa il racconto del pentito, nonostante l'intercettazione fantasma

PALERMO – Ricorso rigettato dalla Cassazione. Onofrio Lipari resta in carcere, anche se era caduta una delle intercettazioni chiave dell’inchiesta sull’omicidio del boss Giuseppe Di Giacomo. La frase è stata trascritta nei brogliacci delle intercettazioni degli investigatori, ma non è stata pronunciata. Il Tribunale del Riesame aveva preso atto della scoperta della difesa, ma aveva mantenuto la misura cautelare. Secondo i giudici, infatti, ci sono altri elementi a suo carico. A cominciare dalle dichiarazioni del soldato di Porta Nuova Alessio Puccio. Le difese hanno fatto ricorso, ma i supremi giudici nei giorni scorsi hanno dato ragione alla Procura di Palermo.

L’intercettazione che non c’è

L’intercettazione riguardava la storia d’amore osteggiata fra la nipote del presunto assassino e il figlio della vittima (una relazione che ancora oggi prosegue). Il padre, la madre e il fratello di Lipari sono stati intercettati mentre parlavano dei fidanzati. “E vabbè e se si vogliono bene, che fa che se ne scappano?… che meglio è?”, diceva la donna. “Perché a quello non l’ammazzò Tony?… u capsti c’ammazzò Toni? (lo hai capito che lo ha ammazzato Tony?)”, avrebbe aggiunto il fratello. Sembrava una sorte di confessione seppure indiretta, ma non c’è alcuna certezza che la frase sia stata pronunciata.

Puccio, picciotto della manovalanza di Cosa Nostra che si è pentito quando ha temuto di essere ammazzato, ha riferito che durante un periodo di comune detenzione nel carcere Pagliarelli, nel 2014, aveva appreso da Fabio Pispicia che “Tony” Lipari era stato l’esecutore materiale dell’omicidio. Il mandante sarebbe stato il cognato Tommaso Lo Presti che avrebbe chiesto a Pispicia di distruggere lo scooter con cui Lipari aveva inseguito la vittima e la pistola da cui partirono i colpi mortali. Lo Presti è indagato a piede libero: nel suo caso non sono stati trovati i riscontri necessari.

Pentito “attendibile”

Le dichiarazioni di Puccio sono ritenute “intrinsecamente coerenti ed abbastanza dettagliate, anche sotto il profilo temporale” dal Riesame. Fabio Pispicia era finito in carcere quando lo fermarono, non lontano dalla stazione Notarbartolo, assieme a Sergio Giacalone. In macchina avevano una pistola. Pispicia avrebbe svelato a Puccio il movente del delitto: “Era da ricondursi agli assetti interni al mandamento di Porta Nuova e al contegno eccessivamente autoritario di Di Giacomo”. Era diventato “troppo assoluto… si sentiva troppo onnipotente”. Aveva litigato con Lo Presti e lo aveva addirittura preso a schiaffi.

Il racconto ha trovato riscontro, secondo il Riesame, in alcune intercettazioni del 2021: “La riferibilità al Lipari dell’omicidio dell’allora reggente mafioso Di Giacomo costituiva ormai un dato di comune conoscenza nel contesto ambientale del mandamento di Porta Nuova”. In una conversazione fra Antonino D’Alba, Alfonso e Vincenzo Di Cara, e Salvatore Messina – tutti del rione Zisa – emergeva che Di Giacomo avrebbe commissionato un atto intimidatorio a colpi d’arma da fuoco contro la macchina della sorella di Lo Presti. Lipari nel corso dell’interrogatorio ha negato l’accusa: Di Giacomo per lui era come un padre.


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