L'omicidio del boss, l'assenza dei familiari e il processo

L’omicidio del boss, l’assenza dei familiari e il processo

Richiesta di rinvio a giudizio per l'assassino di Giuseppe Incontrera

PALERMO – La posizione della Procura della Repubblica non cambia. L’omicidio di Giuseppe Incontrera fu premeditato, ma senza aggravante mafiosa, anche se la vittima era un boss emergente nel mandamento di Porta Nuova. I grandi assenti, salvo colpi di scena dell’ultimo istante, saranno i parenti di Incontrera. Nessuno dovrebbe costituirsi parte civile all’udienza preliminare nei confronti di Salvatore Fernandez, reo confesso del delitto, fissata l’8 giugno prossimo davanti al giudice per le indagini preliminari Ermelinda Marfia.

I pubblici ministeri Giovanni Antoci, Luisa Bettiol e Gaspare Spedale hanno chiesto il rinvio a giudizio dell’imputato. Nel corso delle indagini preliminari i carabinieri raccolsero solo silenzio dalla convocazione di Maria Carmela Massa e Salvatore Incrontrera, moglie e figlio del boss che finirono in carcere nel blitz che avrebbe portato alla cattura della vittima e non fosse stato assassinato.

Incontrera era consuocero e braccio destro di Giuseppe Di Giovanni, accusato di avere presi le redini del mandamento un tempo detenute dai fratelli Gregorio e Tommaso. “L’ho ucciso e basta”, ha detto Fernandez il 5 luglio scorso quando si è consegnato alla stazione dei carabinieri “Palermo falde”. Alle 8 del mattino del 30 giugno aveva fatto fuoco contro Incontrera in una stradina del rione Zisa.

La confessione dell’omicidio

L’assassino ha messo a verbale: “Ho ucciso Giuseppe Incontrera, l’ho ucciso venerdì mattina. Abbiamo avuto una lite qualche mese fa per un incidente che abbiamo avuto nel quartiere. Io ero con il mio motore e lui con il suo. Il mio motore era uno Scarabeo che poi ho venduto”.

Si correggeva: “Il motore non l’ho venduto ma è sequestrato e ora ce l’ha in custodia mia madre”. Incontrera in realtà “aveva la bici elettrica blu”. Dopo averlo seguito, i due abitano a poca distanza l’uno dall’altro, lo colpì alle spalle in via Principessa Costanza.

Dopo lo scontro “ci siamo litigati con le mani – raccontò Fernandez -. Abbiamo cominciato assieme. Ci siamo presi a schiaffi. Poi ci hanno separato e ce ne siamo andati a casa”. Quindi concluse: “Non ho paura di niente. Non sono pentito di niente. Non voglio dire nient’altro”.

“Agguato programmato”

Secondo l’accusa, non è stato un omicidio d’impeto, ma un agguato programmato nei dettagli con l’assassino che pedinò il bersaglio. Nel corso delle indagini si è ipotizzato che qualcuno possa avere psicologicamente contribuito a fare maturare in Fernandez la convinzione che sparare a Incontrera fosse la cosa giusta.

Salvatore Fernandez, assistito dall’avvocato Salvatore Ferrante, ha ricalcato la storia del fratello Fabio, pure lui reo confesso dell’omicidio di un boss, il capo mandamento di Santa Maria di Gesù, Giuseppe Calascibetta.


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