C’è una parola abusata nei dibattiti politici, durante la campagna elettorale, ed é “futuro”; un’altra è “giovani”. Pensati come un’entità astratta, che deve ancora affacciarsi al mondo. Ma questi giovani sono qui ora e non è più tempo di parlare del loro futuro ma del loro presente. Per la prima volta il 25 settembre i ragazzi dai 18 ai 25 anni potranno votare al Senato. E questi giovani, troppo spesso inascoltati dalla politica, sono gli stessi che negli ultimi anni, con sempre maggiore consapevolezza, hanno riempito le piazze e fatto sentire la loro voce su temi che invece i politici si permettono ancora di non tenere nel giusto conto. Sono la generazione z e hanno al massimo 25 anni e stanno dettando un’agenda politica che spazia dal clima, alla formazione, alla cultura, al lavoro, ai diritti civili.
Sono i giovani che hanno convocato per il prossimo 23 settembre, a soli due giorni dal voto nazionale lo sciopero globale per il clima: come a voler ribadire che la questione climatica è prioritaria e loro saranno lì a ricordarlo a chi formerà il nuovo Parlamento. Nelle principali città del mondo, anche a Roma, un orologio scandisce il tempo che rimane al pianeta prima che sia raggiunto il punto di non ritorno, il Carbon Budget, ossia la quota di emissioni di CO2 che ci separa dall’aumento di 1,5 gradi: sono all’incirca sette anni, quindi la nuova legislatura avrà l’onere e l’onore di intervenire con politiche che mettano al centro il perseguimento di una giustizia climatica, intesa come benessere collettivo e strettamente legata ad una giustizia sociale.
Una transizione energetica complessa, che passa non solo come ci si aspetta dall’energia, ma anche dai trasporti e dalla mobilità, dal lavoro, dall’edilizia e povertà energetica, dall’acqua. Messi tutti insieme questi punti ci portano a ripensare complessivamente il nostro modo di vivere, a pensare ad una società meno pressata dalla produzione e dai consumi, dove il lavoro, giustamente retribuito, non occupi tutta la vita quotidiana delle persone, a cui viene lasciato tempo per partecipare alla vita politica del paese – libertà è partecipazione, cantava Gaber – in cui politiche di assistenza alla povertà garantiscano la possibilità di vivere in contesti locali in cui beni primari come l’energia, l’acqua, l’accesso ai mezzi di trasporto e all’istruzione non diventino merce rara ma continuino ad essere considerate come beni comuni.
L’istruzione è un altro dei temi fondamentali che animano l’agenda politica dei giovani. Giovani stremati da quasi tre anni di pandemia, in cui sono emersi i limiti non soltanto fisici e strutturali della scuola italiana. Le mura della scuola dovrebbero rappresentare quel confine sicuro separato dal resto del mondo, in cui imparare, formarsi, aprire la propria mente, oggi invece è sempre più il confine incerto per migliaia di insegnanti precari e di giovani troppi presto inseriti in contesti lavorativi per i quali non sono preparati e che sembrano, da fuori, solo un regalo alle aziende che incrementano il loro parco lavorativo con manodopera gratuita.
Inoltre, per sconfiggere le mafie e la sotto-cultura dell’illegalità è fondamentale avere come obiettivi il contrasto alla povertà educativa e la dispersione scolastica. Secondo l’ultimo rapporto di Save The Children, in Italia la dispersione scolastica è al 12,7%, tra la più elevata in Europa. Peggio solo Romania (15,3%) e Spagna (13,3%), mente la Sicilia è al 21,1%. Anche per la spesa per l’istruzione siamo fuori dai primi 40 paesi del mondo ad appena il 4% del PIL (Norvegia è al 7,9 %). Il nostro Paese non ha solo bisogno del reddito di cittadinanza ma, anche e soprattutto, di un’educazione, una cultura di cittadinanza. Per questo abbiamo previsto l’aumento di almeno 1% del PIL della spesa per l’istruzione pubblica e per la formazione.
La situazione socio-economica attuale metterà a rischio l’istruzione per gli studenti degli strati popolari e in ambito universitario la situazione non è molto diversa: per gli studenti fuori sede l’accesso all’istruzione sta diventando sempre più un problema, la scuola che sulla carta è gratuita per tutti invece è sempre più elitaria dal caro libri al caro affitti è un continuum. Sui diritti per tutti e tutte non si può oggi negoziare: la giustizia climatica, un lavoro giusto e giustamente retribuito garantito a tutti, l’accesso alla formazione, il matrimonio egualitario, l’adozione per le coppie omosessuali o per i single, il diritto a potere abortire nella propria regione o a potere scegliere l’eutanasia, la legalizzazione della cannabis, i cittadini devono fare proprio il concetto che i diritti amplificano la libertà di tutti, che garantirli garantisce la natura democratica dell’Italia.
Ecco perché il nostro programma si chiama “una generazione avanti, come se ci fosse un domani”. Per +Europa i giovani sono protagonisti del presente, con fatti, proposte e soluzioni concrete, dalla difesa e implementazione del patrimonio politico dei diritti civili all’ambiente pensato come risorsa pubblica, dal divieto di assumere debiti a carico delle future generazione (No – future – taxation without representation) all’implementazione della spesa sociale ed educativa.