CATANIA – Non trapela un filo di paura nei suoi occhi quando ripercorre i “secondi interminabili” di venerdì sera a Misterbianco. Giuseppe, l’agente della sezione Condor che si è scagliato contro i banditi che hanno rapinato un negozio ed è stato colpito da uno dei malviventi con il calcio della pistola, racconta quei momenti con estrema precisione. Forse la stessa che mette quando redige le sue relazioni di servizio. I ricordi del poliziotto sono lucidi e intatti. Un pizzico di dolcezza lo si scorge quando parla della “tutela dei suoi cari”.
Quella di venerdi è una sera dedicata alla famiglia. Giuseppe è disarmato, non ha portato la sua pistola. 38 anni, sposato con due splendidi figli: una bimba di sei anni e un piccolo di appena tre mesi. “Sono arrivato al negozio di abbigliamento alle 19” – afferma. Il tempo degli acquisti e mezz’ora dopo è fuori dall’esercizio commerciale. “Metto i pacchi in macchina e con mia moglie sistemiamo i bambini nei rispettivi seggiolini quando mi accorgo dell’arrivo di una macchina scura che mi blocca il passaggio. Capisco che c’è qualcosa di strano”. Giuseppe chiude lo sportello dell’auto dove è seduta sua figlia e guardando in direzione della Mercedes classe C si accorge che il conducente ha il volto travisato. Dall’auto scendono due persone, uno con il passamontagna e un’altra con una maschera di plastica che raffigura un vecchio, e fanno irruzione nel negozio. L’uomo con il cappuccio nero ha una pistola in mano e la punta contro il personale presente per farsi consegnare l’incasso.
I finestrini dell’auto di Giuseppe sono chiusi, impossibile dunque comunicare con la moglie. “Ma anche lei aveva capito che c’era una rapina” – afferma l’agente. Il poliziotto cerca di avvicinarsi all’entrata del negozio per tentare di vedere, ma accade qualcosa. “Il conducente mi ha visto e mi ha intimato di allontanarmi – racconta – allora io ho alzato le braccia in segno di resa e ho fatto qualche passo indietro. In quel momento – confessa – mi si è gelato il sangue, ma intanto pensavo che tra poco i rapinatori sarebbero usciti. Per esperienza so che una rapina può durare massimo 20 – 30 secondi e allora ho fatto qualche passo avanti”.
In quel momento scattano i “secondi interminabili”. La mente sgombra da qualsiasi pensiero razionale, unico motore è l’istinto. “Quando ho dedotto che l’uomo armato stava per uscire ho agito istintivamente e l’ho agganciato”. La prima azione è quella di eliminare il pericolo della pistola: il poliziotto si scaglia contro il bandito con il passamontagna. “Quando ho visto che abbassava il braccio con l’arma mi sono buttato e l’ho afferrato”. Giuseppe riesce ad allontanarlo ma poi il complice con la maschera da vecchio lo colpisce “con calci e pugni”. “Nasce una colluttazione – racconta – l’uomo armato mi colpisce con il calcio della pistola alla testa, ma io riesco a togliergli il cappuccio nero e a vederlo in viso”.
I due malviventi riescono a risalire in auto e il conducente accenna una partenza. “Mi aggrappo alla portiera ma sono stato sbalzato in aria”. Giuseppe finisce a terra, ma riesce lo stesso a prendere i parziali del numero di targa della Mercedes. E’ in quell’istante torna alla realtà: sente le ferite, ma soprattutto ascolta le urla della moglie che intanto era uscita dalla macchina. La bimba piange. Mamma e figlia hanno assistito alla scena. Il padre cerca di calmare la piccola, ma il senso del dovere non si piega nemmeno in quel momento. “Ho chiamato il 113 – racconta – e i miei colleghi in servizio alla Squadra Mobile, ho fornito il parziale del numero di targa e la descrizione dell’uomo. Avviate le indagini in poche ore li abbiamo arrestati tutti”. Solo uno dei tre al momento è irreperibile. Giuseppe viene accompagnato in ospedale: la prognosi è di dieci giorni, mentre per il colpo alla testa sono necessari tre punti di sutura.
Per molti lettori e colleghi Giuseppe è già un eroe, ma lui respinge questo termine e chiarisce: “Non sono un eroe, ma solo un poliziotto”. Essere poliziotti significa esserlo 24 ore su 24. “Chi è lo è dentro sì”- confida. “Ma ogni situazione è sempre diversa – spiega – e non c’è la certezza matematica che in ogni circostanza agisci allo stesso modo”.
Anche se Giuseppe non si considera un eroe, per il dirigente della Squadra Mobile, Antonio Salvago lo è: “Quello che ha fatto lo si vede chiaramente dal video del sistema di video sorveglianza, non c’è bisogno di aggiungere altro. Non so quanti altri avrebbero fatto la stessa cosa. Siamo molto orgogliosi”. Il Questore, appena ha saputo dell’accaduto, ha ringraziato personalmente l’agente. Ma il pensiero è andato soprattuto alla figlia di Giuseppe che ha ricevuto dei regali da Cardona e dai colleghi della Squadra Mobile. “La polizia è una grande famiglia” – afferma Salvago.
Ora il dirigente spera che il gesto eroico di Giuseppe produca un maggiore senso di fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini. “Alla Squadra Mobile di Catania ci lavorano uomini e donne che credono nel proprio lavoro e lo fanno con passione. La gente – spiega Salvago – può aiutarci ed esserci vicina anche con una semplice segnalazione”.