PALERMO – Meglio morire che diventare pentito. Invece di tradire Cosa nostra bisognerebbe suicidarsi. Per Sergio Macaluso e Pietro Salsiera l’onore mafioso vale più della vita stessa.
Sono due dei venticinque arrestati del blitz dei carabinieri che nei giorni scorsi ha colpito i mandamenti mafiosi di Resuttana e San Lorenzo. Per un certo periodo Macaluso e Salsiera avrebbero preso in mano le redini dei clan martoriati dalle incessanti operazioni dei carabinieri. Quando li intercettarono erano i giorni successivi al blitz Apocalisse. In cento, fra boss e picciotti, nel 2014 finirono in carcere.
Colpa anche dei pentiti. Di quei rovina famiglia dei collaboratori di giustizia. C’era solo disprezzo nelle parole intercettate: “… meglio la morte… se uno si troverebbe nella vita in condizione di non saperle superare… il lenzuolo… un minuto … agnello e sugo e finiù u vattiu”. Citavano il detto siciliano, una volta consumato il piatto principale, l’agnello al sugo, il banchetto poteva dirsi concluso. Alla stessa maniera, diventare collaboratore di giustizia corrisponde alla fine di tutto. Si perde il senso del vivere mafioso.
E allora se non si è in grado di superare le avversità del carcere, aggiungeva Macaluso, “nel momento che tu sei preso dalla foga… fai il pentito, ma dico… loro ci riflettono che significa… passare tutta una vita a ricordarsi il male che hai fatto… le famiglie che hai rovinato… che non puoi più camminare… cioè ma che vita è… ma che vita è?”.
Salsiera aveva la risposta a un quesito che diventava esistenziale: “… se io dovessi capire dice che non ce la faccio più… mi metto in un angolo e mi faccio morire”. Macaluso era della stessa idea: “… il lenzuolo e ti affoghi… perché se non sai sopportare… uno si dovrebbe trovare… andiamo al Tribunale… a deporre… ma con quale coraggio ci vai? Ma… no… no meglio la morte, non ti seccare… meglio la morte”. “Come lo guardi in faccia a tuo figlio”, concludeva Salsiera. Di sicuro con gli occhi di un mafioso.