PALERMO – Contatti istituzionali “border line” e una missione da compiere per far smettere di esplodere le bombe in giro per l’Italia, potendo “promettere qualunque cosa”. Rosario Pio Cattafi, arrestato la scorsa estate in quanto ritenuto capomafia di Barcellona Pozzo di Gotto, vuota il sacco e svela il ruolo che a suo dire avrebbe avuto nella trattativa fra Stato e mafia come “ambasciatore” in carcere dell’allora numero due del Dap, Franco Di Maggio, deceduto, personaggio diventato centrale nella questione del mancato rinnovo di centinaia di 41 bis nel 1993. I suoi interrogatori resi il 28 settembre, il 4 e il 17 ottobre, sono stati depositati al processo all’ex generale del Ros, Mario Mori, per favoreggiamento aggravato dalle finalità mafiose e dalla minaccia a corpo politico dello Stato.
Già militante di Ordine nuovo, Cattafi è stato arrestato la prima volta nel 1984 in Svizzera per associazione mafiosa e sequestro di persona. Era considerato il cassiere della mafia. La sua vicenda la racconta lui stesso ai magistrati messinese: “Fui prosciolto dal giudice istruttore per insufficienza di prove. Fu la stessa procura di Milano, nelle persone dei dottori Davigo e Di Maggio a chiedere il proscioglimento”. Il Di Maggio a cui Cattafi fa riferimento sarebbe Franco Di Maggio, allora pm a Milano. Comincerebbe da questo episodio il rapporto “border line” fra i due.
Su Cattafi si abbattono anche le dichiarazioni del pentito Angelo Epaminonda che lo inserisce nella famiglia Santapaola di Catania. Le accuse del collaboratore sono raccolte sempre da Franco Di Maggio a cui Cattafi sostiene di aver spiegato la sua posizione fino a convincerlo della sua estraneità. Il magistrato avrebbe dunque chiesto a Cattafi se fosse disposto a fare delle dichiarazioni a proposito di Salvatore Cuscunà, detto “Turi Buatta”. “Io confermai le frequentazioni fra Angelo Epaminonda e Cuscunà. Anche a seguito delle mie dichiarazioni, il Cuscunà fu condannato” racconta Cattafi che otterrà gli arresti domiciliari e, nel 1986, sarà prosciolto.
Fra Cattafi e Di Maggio non ci sarebbero stati più contatti fino al 1989-90. “Io ero libero e vivevo a Milano (…) in quel periodo si presentò un carabiniere che mi suonò a casa, procurandomi anche una certa ansia. Costui mi disse che il dottore Di Maggio mi aspettava presso la caserma dei carabinieri in via Moscova”. I due si incontrano e il magistrato comunica a Cattafi di essere stato nominato all’Alto commissariato antimafia. Non un convenevole, ovviamente, perché “Di Maggio mi disse: ‘So che lei ha contatti con personaggi di vario genere, con imprenditori, se lei sa qualcosa sul riciclaggio di denaro, io sono qui'”.
Cosa era Cattafi, un informatore? Lui dice di no. “Semplicemente una persona che era entrata in buoni rapporti con costui (Di Maggio, ndr) e che dunque era disposta a fornirgli informazioni nel caso in cui ne fossi venuto a conoscenza (…) Io garantii la mia disponibilità e il dott. Di Maggio mi disse: ‘Da me troverà sempre un amico’ e mi aggiunse scherzosamente che non mi avrebbero mandato più un carabiniere a casa”.
Il tempo scorre e Cuscunà esce dal carcere. Cattafi teme per la sua vita, dopo le dichiarazioni rilasciate a Di Maggio che avverte della circostanza “ma non avevo ottenuto risposte”. Quindi, secondo la sua versione, questa è la ragione per cui comincia a frequentare l’Autoparco di Milano, autentico centro direzionale della mafia al Nord Italia, per cercare di giustificare la sua ‘cantata’. In quel contesto, sempre secondo la sua versione, avrebbe millantato conoscenze per accreditarsi. Fatto sta che nell’ottobre 1993 viene arrestato proprio nell’ambito dell’inchiesta sull’autoparco. Nello stesso periodo anche Messina indaga su Cattafi “su un presunto traffico di armamenti pesanti”. Ma, poco prima, nel mese di maggio, c’era stato un altro incontro importante. Franco Di Maggio, infatti, l’aveva mandato a chiamare tramite un carabiniere a casa della madre. Così Cattafi si è presentato all’appuntamento al bar Doddis di Messina.
Di Maggio, che gli annuncia di essere appena stato nominato vice capo del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria), “mi disse: ‘Abbiamo deciso che dobbiamo prendere la cosa in mano e dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo portare avanti una trattativa’”. “Di Maggio – continua Cattafi nelle sue dichiarazioni – disse: ‘Dobbiamo bloccarli questi porci’ (…) egli si riferiva al fatto che voleva disinnescare e bloccare le stragi. Sempre in quel frangente, Di Maggio mi disse che bisognava mandare un messaggio a Santapaola e che ‘bisognava smetterla con questo casino’ e che in cambio c’era la disponibilità da ‘parte nostra’, ossia da parte delle istituzioni, a concedere benefici”.
Secondo quanto racconta Cattafi, Di Maggio era stato posto in quel ruolo proprio per questo, per “aggredire il problema” e, prima di incontrarlo, aveva tenuto una riunione con alcuni ufficiali del Ros dei carabinieri che raggiungeranno i due al bar. “Di Maggio mi disse espressamente che egli era stato nominato al Dap proprio con il fine specifico di risolvere il problema delle stragi e di avviare un contatto con la mafia”. Il compito affidato a Cattafi non era affatto semplice: avrebbe dovuto contattare l’avvocato di Salvatore Cuscunà, “in modo da allacciare un contatto con Santapaola”. Lo stesso Cuscunà che era stato arrestato grazie alle sue dichiarazioni. Per questo Cattafi prova a fare delle rimostranze, ma “Di Maggio insistette e mi disse: ‘Prova comunque a contattare l’avvocato di Cuscunà dal momento che la questione è importante'”. Cattafi sostiene di essersi messo a disposizione di Di Maggio e che questi “era particolarmente insistente e mi disse che potevo ‘promettere qualunque cosa’ pur di riuscire a ottenere quel risultato e attuare un contatto con Santapaola” che era ritenuto un boss più “malleabile”.
Dunque, dopo il suo arresto dell’ottobre ’93, Cattafi racconta di aver ricevuto “delle telefonate provenienti dal Ministero e in particolare dal dottore Di Maggio” nella stanza del direttore del carcere di Solliciano, a Firenze. Nell’ultima di queste Di Maggio sarebbe tornato alla carica alla ricerca di un contatto con Santapaola. “Mi ribadì che io potevo promettere qualsiasi cosa. In quell’occasione Di Maggio disse che si potevano concedere a Cuscunà gli arresti domiciliari purché avesse assicurato questo contatto con Nitto Santapoala o con qualcuno a lui vicino. In questa telefonata Di Maggio non si riferì più a un contatto che io dovevo avere con l’avvocato di Cuscunà, ma parlava di un incontro diretto tra me e il Cuscunà stesso (…) Di Maggio mi assicurò che avrebbe pensato lui ad assicurarmi il contatto diretto con Cuscunà all’interno di qualche struttura carceraria”.
Ed effettivamente l’occasione non tarda ad arrivare. Per ragioni di salute Cattafi viene trasferito “al centro clinico del carcere San Vittore di Milano. Presso quello stesso centro clinico, in un’altra stanza posta sulla mia sinistra, c’era il Cuscunà. Quasi di fronte alla mia stanza c’era quella di tale Ercolano, piantonato da una guardia. Casualmente io, Cuscunà ed Ercolano eravamo nello stesso centro clinico” dice Cattafi.
Durante l’ora d’aria Cattafi riesce a parlare con Cuscunà. “Gli dissi: ‘Ti dico una cosa che forse può aiutarti a farti uscire’ e gli riferì quello che mi aveva detto il Di Maggio per telefono. Io, in pratica, ero un ambasciatore e gli spiegai che nel frattempo Di Maggio era divenuto pezzo grosso e che aveva la possibilità di fargli ottenere questi benefici (gli arresti domiciliari, ndr). Del resto Cuscunà sapeva bene che Di Maggio aveva raccolto le mie dichiarazioni contro di lui e dunque conosceva il rapporto esistente tra me e il Di Maggio (…) riferii al Cuscunà che il messaggio che si doveva portare al Santapaola consisteva nel fatto che si doveva porre fine a ‘quelle cose’ e che in cambio lo Stato avrebbe concesso benefici e sconti di pena”.
A Cuscunà, Cattafi dice di contattare il direttore del carcere qualora l’ “abboccamento” avesse successo e che i benefici si potrebbero ottenere solo in seguito alla dissociazione. Cattafi dice di non essere a conoscenza di come è finita quella storia ma sostiene di aver saputo da Di Maggio stesso che era andato “tutto a posto”. L’occasione in cui due sarebbero tornati a parlare è da inquadrare nel ’94-’95 nel carcere Opera di Milano. Questa volta Cattafi avrebbe dovuto contattare Ugo Martello col fine di mandare un messaggio ai palermitani per sostenere la dissociazione e “che in cambio costoro avrebbero ricevuto dei vantaggi da parte delle istituzioni”. Compito al quale, questa volta, Cattafi si sarebbe sottratto. “Ebbi un atteggiamento di protesta e gli risposi male rinfacciandogli che mi ero prestato a recare il messaggio a Cuscunà come mi era stato chiesto e tuttavia mi trovavo in carcere giustamente”. Ma, questa volta, il discorso era diverso. “Di Maggio mi parlava di dissociazione dei mafiosi e di benefici come i domiciliari o sconti di pena che sarebbero potuti derivare per loro”. Poi gli diede il “ben servito” e i due non sarebbero mai più tornati a incontrarsi.