PALERMO- Il gup di Palermo Cesare Vincenti ha condannato sei degli otto imputati del processo denominato Eden che vedeva sotto accusa presunti prestanomi e favoreggiatori del boss Matteo Messina Denaro e il capomafia di Campobello di Mazara. I giudici hanno escluso l’aggravante mafiosa e dichiarato prescritte le accuse contro Rosario Pinto (era difeso dall’avvocato Ermanno Zancla), imprenditore imputato di favoreggiamento. Assolto invece Giovanni Faraone, meccanico anche lui accusato di favoreggiamento. A 5 anni e 4 mesi, stessa pena chiesta dal pm Paolo Guido, è stato condannato invece il dichiarante Lorenzo Cimarosa. La Procura ha chiesto che gli venissero concesse le attenuanti generiche, ma non la speciale attenuante prevista per i pentiti che apportino un contributo rilevante alle indagini.
Per intestazione fittizia di beni sono stati condannati rispettivamente a 3 anni e 6 mesi e 3 anni Lea Cataldo e il marito Francesco Lupino. Di 4 anni e 2 mesi la pena inflitta al cugino di Matteo Messina Denaro, Mario Messina Denaro, accusato di tentativo di estorsione, mentre a 8 anni e 2 mesi è stato condannato il presunto capomafia di Campobello Nicolò Polizzi. Due anni la pena inflitta a Giuseppe Marino, imputato di corruzione. Il processo, celebrato in abbreviato, nasce da un’inchiesta che, a dicembre scorso, ha portato in cella 30 presunti favoreggiatori del boss latitante e i vertici dei clan trapanesi. Quattro indagati hanno già patteggiato la pena. Per gli altri è in corso il dibattimento davanti al tribunale di Marsala che oggi ha riunito due tranche del procedimento.
In ordinario sono imputati, davanti al tribunale, tra gli altri, Patrizia Messina Denaro e Francesco Guttadauro, sorella e nipote del capomafia latitante e Antonino Lo Sciuto. Le loro posizioni sono state riunite oggi a quelle di Antonella Agosta, Michele Mazzara, Giuseppe Pilato, Francesco Spezia, Salvatore Torcivia, Vincenzo Torino e Girolama La Cascia. Eccezione di incompetenza territoriale è stata avanzata da alcuni difensori per gli imputati Mazzara, Spezia e Agosta, accusati di intestazione fittizia, con l’aggravante di aver favorito associazione mafiosa, reato che sarebbe stato commesso a Trapani, e per l’ingegnere Salvatore Torcivia, del Provveditorato per le opere penitenziarie di Palermo, accusato di turbativa d’asta. Il Tribunale ha, però, rigettato l’eccezione. Il 5 giugno, invece, deciderà sull’ammissione delle parti civili. Secondo l’accusa, Patrizia Messina Denaro, presente in aula, avrebbe retto il mandamento in assenza del fratello, con il quale continuava ad avere rapporti nonostante la latitanza.
(Fonte ANSA)