Matteo Salvini ha chiuso con intelligenza, almeno nella sua fisionomia più visibile, la vicenda imbarazzante (non per lei) della professoressa sospesa per un lavoro dei suoi studenti al Vittorio Emanuele III.
“Giovedì prossimo – ha dichiarato il ministro dell’Interno – sarò a Palermo a testimoniare la lotta alla mafia e per onorare la memoria del giudice Falcone e dei caduti della strage di Capaci. Sono sicuro, e ne sarei felice, che ci sarà anche modo di incontrare la professoressa Rosa Maria Dell’Aria, che mi auguro possa tornare quanto prima al suo lavoro a scuola, e gli studenti di quella scuola per spiegare cosa sto facendo per la sicurezza del mio Paese e la distanza abissale tra le mie idee e progetti e le leggi razziali del periodo fascista”.
Un modo garbato per dire: il pensiero – quando è non urlato, quando non è offensivo – non si punisce, ci si confronta, anche se fosse sbagliato. Quella del ministro è stata fin qui l’unica voce ragionevole arrivata da destra in calce a una storia che ha visto lo spreco di troppi commenti bellicosi e a petto in fuori.
Una voce pacata che probabilmente ha tenuto conto dell’effetto booemerang scaturito dal viso e dalle parole della professoressa intervistata dai media che ha attirato su di sé un immediato affetto collettivo. Urgeva mettere una pezza.
Dal punto di vista sostanziale, la presa di posizione del ministro ha oltretutto il pregio di far calare il sipario su una esperienza umana che ha arrecato sofferenza immeritata ed estrema a chi l’ha subita. Ora la professoressa Rosa Maria Dell’Aira merita la riconquista dell’oblio e della serenità perduta.
Ps. Ovviamente, era un elemento implicito nel mio ragionamento ma forse è meglio renderlo esplicito, auspico che l’augurio del ministro sia accolto e che la professoressa torni presto a scuola.