“E’ in corso una prova di forza sulla pelle dei più deboli, di pochi poveracci che non possono scendere dalla nave perché si deve tenere il punto”. Dopo altri giorni e altre notti in cui si sta consumando il braccio di ferro sulle persone migranti, Emiliano Abramo è arrabbiato. Si tratta di una rabbia civile, che cerca soluzioni, ma che si percepisce. Il presidente della Comunità di Sant’Egidio, a Catania. sta osservando, con altri di buona volontà, quello che succede, mentre cerca di prestare aiuto, come può.
“Qui c’è solo un mediatore culturale – racconta – che parla una sola lingua. Così è difficile capire e farsi capire. Per fortuna, c’è la grande umanità dei medici e del personale che si stanno facendo in quattro per comunicare al meglio e per prestare soccorso. Questa è anche una bella pagina di umanità”.
Lo stesso Abramo, a LiveSicilia.it, aveva raccontato altre fasi drammatiche della vicenda: “Chi è rimasto sulla nave ha cominciato a urlare: ‘Why not!’. Non lo dimenticherò mai. Provo un sentimento di pesantezza, Ho visto un esercito schierato che difendeva i confini dai bambini di pochi mesi, dalle donne incinte e da una umanità povera e disperata”.
E l’attivista Alessandra Sciurba, postando una foto, aveva scritto su Facebook: “. Ho incontrato quello che i rappresentanti del governo chiamano ‘carico residuo’ non vulnerabile: 215 ragazzi e uomini col corpo ricoperto di scabbia, o di cicatrici di torture e spari subiti in Libia, o entrambe le cose. Ma come avrebbero potuto accorgersene ieri pomeriggio gli inviati del governo a “selezionare” i sommersi e i salvati, nel corso di un’ispezione durata poche ore… facendo i calcoli ad ognuna delle persone soccorse sono stati dedicati meno di 50 secondi per decidere se dovessero o meno toccare terra. Il tutto senza alcuna mediazione linguistica”. (Roberto Puglisi)