PALERMO – Più che una riforma è una maledizione. La legge sulle Province dovrà tornare a Sala d’Ercole. Ancora una volta. Per essere discussa, modificata, pubblicata e passare nuovamente il vaglio di Palazzo Chigi. Un nuovo pasticcio, insomma. Che rischia di far slittare nuovamente le elezioni e che verosimilmente obbligherà il governo regionale a una nuova proroga per i commissari degli enti.
Incredibile, ma vero. E adesso, la vicenda è così contorta da non rendere più chiara l’origine dell’errore. Se si tratta, infatti, dell’ennesimo strafalcione del governo Crocetta. O se, invece, è una nuova mazzata alla Sicilia del governo Renzi. O ancora se – semplicemente – i due esecutivi non si sono compresi, e sarebbe forse l’ipotesi più preoccupante.
Fatto sta che a Palazzo d’Orleans, pochi giorni fa, la giunta ha dovuto rimettere mano a una legge che sembrava finalmente pronta. Dopo aver corretto l’ultimo punto che sembrava discostarsi dalla legge Delrio: l’automatismo tra il sindaco capoluogo e quello della città metropolitana.
E invece no. Già l’11 maggio scorso infatti il Sottosegretario di Stato per gli affari regionali aveva scritto al governo Crocetta: “permangono rilievi, – sottolineava – oggetto di impugnativa da parte del governo relativamente alle modalità elettive del Presidente del libero Consorzio”. La legge con cui la Sicilia ha infatti accolto in prima battuta l’impugnativa romana, aveva abrogato una norma che invece aderiva alla Delrio. Insomma, mentre l’Ars aggiustava parte della legge, ne rompeva un altro pezzo. “Tale soppressione – si legge sempre nella nota del Sottosegretario di Stato – è suscettibile di configurare una violazione degli articoli 3 e 51 della Costituzione”. In particolare, la norma è quella che riguarda i presidenti dei Liberi consorzi: governo regionale e Ars avevano infatti cancellato il passaggio che prevedeva l’impossibilità di candidarsi a presidente del Consorzio per quei sindaci il cui mandato scadeva prima dei 18 mesi dalla data prevista delle elezioni. Un limite che adesso governo e Ars dovranno reintrodurre.
Ma non solo. La legge sulle Province dovrà essere modificata anche in un altro punto: introducendo, cioè, la possibilità dell’elezione diretta del sindaco metropolitano. Una elezione da parte dei cittadini, quindi, che dovrà però necessariamente passara dall’adozione nello Statuto delle Città metropolitane delle norma per il suffragio universale.
Si cambia, quindi. Ancora una volta. Era il 2013 quando Crocetta annunciò a tutte le televisioni d’Italia di avere “abolito, primi nel Paese, le Province”. Una frase che ha finito per suonare come una maledizione su una riforma che da quel momento è stata solo un elenco di errori, scivoloni, strafalcioni, impugnative. E soprattutto di commissariamenti infiniti e deleteri per gli enti, le infrastrutture, le scuole, il personale stesso delle ex Province.
E adesso, però, a rischio sono le stesse elezioni. Le nomine dei commissari sono state prorogate infatti fino a settembre. Entro quella data avrebbero dovuto svolgersi le elezioni di secondo grado per gli organi dei nuovi enti. E invece, quella data è seriamente a rischio. L’Ars si riunirà infatti il 21 giugno. Ma all’ordine del giorno non è previsto l’esame di questo ddl di modifica della riforma. Dovrà quindi passare dalle commissioni di merito, poi dall’Aula, quindi dalla Gazzetta ufficiale, e ancora dovrà attendere il “via libera” (ammesso che arrivi) da Palazzo Chigi. A quel punto, probabilmente sarà necessario prolungare ancora un po’ gli incarichi ai commissari. E così, l’epocale riforma delle Province rimarrà alla storia come un clamoroso “papocchio” e il più lungo commissariamento mai visto in Sicilia.