Palermo – L’ultima emergenza da Covid-19 è nelle imprese alla paralisi. Con il personale “sotto sequestro” a casa per la quarantena, in attesa di tampone, e la prospettiva di un vortice di contenziosi con l’Inps. È la denuncia di Sicindustria, che ha fotografato una situazione di tilt nelle attività produttive.
La pandemia nella sua seconda ondata sta producendo conseguenze devastanti sul piano dell’organizzazione aziendale sui fatturati e sulla produttività delle aziende per due ragioni principali: i ritardi nei tamponi e il vuoto normativo sul trattamento della quarantena e dell’isolamento, in caso di infortunio o di malattia.
I RITARDI NEI TAMPONI.
Il caso più frequente che si verifica nelle imprese. I lavoratori, dopo un tampone antigenico positivo, restano mediamente da 7 a 10 giorni in attesa del tampone molecolare dell’USCA. Dalla data del tampone comincia l’isolamento del lavoratore e la quarantena degli altri dipendenti che vi sono entrati in contatto stretto. “L’intervallo tra il primo e il secondo tampone è un tempo morto. Una insostenibile perdita di giornate lavorative, una causa paralizzante dell’attività delle imprese, un pericoloso rischio di contenzioso con l’Inps”.
Altro ritardo: quello alla fine della quarantena o dell’isolamento. È il caso dei positivi asintomatici di lungo periodo, oppure il caso dei lavoratori in quarantena in attesa di tampone molecolare negativo USCA. In assenza di una norma che dia precise indicazioni, non vengono considerati validi i tamponi antigenici o molecolari dei laboratori privati. Il risultato è un imbuto otturato nel collo. Un intasamento di tamponi alle ASP. Un ritardo macroscopico che ogni giorno si aggrava sempre di più.
LE SABBIE MOBILI DELLA NORMATIVA.
Il Covid-19 è riconosciuto come malattia, e dunque indennizzato dall’INPS. Ma nei casi di contagio sul luogo di lavoro è qualificato infortunio professionale, dunque in gestione INAIL. Non sempre è facile individuare il confine tra malattia e infortunio. E questo non è un dettaglio: l’indennità per infortunio viene riconosciuta direttamente dall’INAIL al lavoratore. La malattia viene anticipata dall’impresa al lavoratore e poi viene conguagliata dall’INPS. Sia nel primo caso che nel secondo comunque il sistema di assistenza parte solo dopo il tampone molecolare dell’USCA. E dunque in attesa di tampone il lavoratore rimane a casa – a spese dell’impresa – senza nessuna copertura assistenziale. C’è di più: il lavoratore che è stato a contatto stretto con un positivo deve andare in quarantena. Cioè deve restare a casa sotto osservazione in attesa di eventuali sintomi. L’INPS stabilisce che può lavorare dal proprio domicilio. Resta il grande buco nero normativo della quarantena di tutti i dipendenti che non possono andare in telelavoro. Per esempio gli operai, come metti un cantiere in smart working.
La situazione è al collasso, le imprese sono in rivolta. E sullo stesso fronte con le imprese spesso ci sono anche i lavoratori.
In un momento così critico è necessario un sistema di regole senza zone d’ombra, che disciplini tutte le ipotesi e che dia certezze ai lavoratori e alle aziende.
“E poi, non possiamo restare ostaggio degli intasamenti nelle USCA, i lavoratori sono sotto sequestro a casa mentre fuori il mondo continua a correre – conclude il vicepresidente vicario di Sicindustria Alessandro Albanese – . È urgente affrontare questo tema, e aprire il ventaglio dei laboratori abilitati ai tamponi molecolari validi per statuire l’inizio e la fine dell’isolamento e della quarantena.
Ne va della tenuta dell’intero sistema produttivo, ne va della sopravvivenza delle imprese”.