Quegli anni alla Fiat (di Termini) - Live Sicilia

Quegli anni alla Fiat (di Termini)

Termini addio. I ricordi
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(rp) Quegli anni alla Fiat, dannati e bellissimi. Qualcuno ci vedeva l’inferno. Salivi a Termini e c’era sempre uno che si lamentava: “Per questa fabbrica, abbiamo distrutto la nostra vera vocazione: il turismo”. Era una geremiade. Il mare negato. Il cielo offuscato dal fumo. Gli uccelli spaventati dal rumore. Per qualcuno era il Paradiso, Eden clientelare forse, di assunzioni e di serenità, se conoscevi lo zio del cugino dell’amico dell’onorevole. Un operaio disse: “Vorrei che mio figlio un giorno lavorasse qui”. Ora sappiamo che non sarà mai accontentato. Andavi a Termini, davanti al grande cancello, e le vedevi, le mitiche tute blu, con la copia della Stampa in mano, col giornale del padrone stretto tra forti dita metalmeccaniche. Pareva un segnale di distinzione, il fiore all’occhiello di una felicità produttiva vagheggiata nell’alto dei cieli e inverata in un pezzetto di terra siciliana. La santa e proficua alleanza tra il capitale e il lavoro.

Poi, da cronisti, notavamo l’altra faccia, il rovescio della medaglia. Si andava a Palermo, nell’ufficio Istat, retto da un galantuomo, Giuseppe Quirino, il direttore e il signore dei numeri. E il dottore Quirino snocciolava evidenze tremende. Termini isolata. Termini affogata. Termini senza futuro, nonostante la fabbrica. Ma poi, fiducioso, Giuseppe, il re delle cifre, aggiungeva col suo accento romano: “Vabbè, la statistica: so’ tutte stronzate…”. E si finiva con un caffè in letizia.

Nel frattempo, numeri su numeri, caffè dopo caffè, Termini Imerese è morta con la sua solitudine, impiccata alla sua contraddizione. Si dice che sarebbe la sorte della tipica cattedrale nel deserto. In realtà, la Fiat di Termini era come la casa del terzo Porcellino che si credeva furbo assai, se le soffi contro non cade giù. Ma puoi sempre appiccarle il fuoco.
Quegli anni alla Fiat sono già finiti. Oggi si certifica un decesso vecchio e consolidato da tempo. E’ appena una mattina di semplice rappresentazione plastica di una tragedia già scritta. Che poi è il segno nefasto dei giorni nuovi: il lupo cattivo ha imparato a usare l’accendino. O, se volete declinarla altrimenti: ogni lupo è sempre più furbo di un furbissimo porcellino. Oppure, versione comunista: nessun padrone è buono, se non gli conviene.


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