Io una volta l’ho visto da vicino un eroe delle fiamme che aveva appena combattuto e vinto la sua lunghissima battaglia contro il rogo. Camminava con un passo claudicante perché si era ferito. Aveva la mimetica inzuppata di sudore. Due lacrime nere, di cenere, gli attraversavano il viso. E non si atteggiava in posa come un Achille degli spegnimenti. Aveva una faccia da figlio, da padre, da marito. E a casa c’era, sicuramente, qualcuno che pregava per lui. Per questo fu inevitabile abbracciarlo, nonostante l’odore acre di fumo.
Stanotte, come in tantissime altre occasioni, gli eroi invisibili e anonimi, che non conosciamo, a cui non stringeremo la mano come dovremmo, si sono piazzati davanti al fuoco con il valore delle anime semplici, abituate a gestire il terribile, con i loro corpi friabili, senza retrocedere.
Le cronache recitano: “Sono ancora impiegati 130 unità dei Vigili del Fuoco e 35 mezzi; 81 unità del Corpo forestale della Regione Siciliana; 50 unità dell’Arma dei Carabinieri, 30 della Polizia di Stato e 10 pattuglie della Polstrada e un pattuglia della Guardia di finanza”. I numeri danno la vertigine della notte di terrore che ha circondato Palermo. Famiglie evacuate, persone che sono state costrette ad abbandonare le loro abitazioni, per la mano maledetta che è miccia e accensione di una catastrofe. E il giorno dopo qualcosa brucia ancora, mentre il resto è un panorama annerito che uccide la speranza.
Ma la tragedia ha il suo bilanciamento nella forza morale di chi entra in azione al primo allarme. Sono gli eroi senza identità a cui va il nostro grazie, perché non puoi fare quel lavoro se non hai dentro di te un’idea bella e solidale della vita e del prossimo. Sono loro che ci salvano e non importa quanto siano alte le fiamme: gli eroi senza retorica, né applausi che arrivano, combattono e vanno via. Con due lacrime di cenere appuntate sul viso.