Mazzarino- Il 13 giugno 1984 Benedetto Bonaffini, giovane operaio di Mazzarino, uscì da casa per andare al bar. Da quel momento non se ne seppe più nulla. Scomparve per sempre, inghiottito, come si dice in questi casi, dalla lupara bianca. Fu suo padre a presentarsi ai carabinieri per denunciare la sparizione, ritenendo insolito l’allontanamento del figlio, che con sé aveva meno di diecimila lire.
Secondo l’operazione Chimera, la maxi-inchiesta che ha portato i carabinieri del comando provinciale di Caltanissetta a compiere stamattina 55 arresti, tra il carcere e i domiciliari, su ordinanza del gip Santi Bologna, a ucciderlo, con l’aiuto di altri, sarebbe stato il boss della Stidda di Mazzarino Salvatore Sanfilippo. Il ragazzo aveva solo 22 anni, ma sarebbe stato attirato in campagna da un falso amico, che gli avrebbe dato appuntamento nella zona del Carmine, dove i mafiosi lo avrebbero picchiato e poi strangolato, per poi dare proprio a quel falso amico della vittima il compito di seppellire il cadavere.
Ma la buca scavata sarebbe stata poco profonda e il corpo si vedeva dall’esterno, per cui dopo, il boss e un’altra persona, avrebbero deciso di spostarlo. Questa ricostruzione del pentito Gaetano Branciforti, una ventina d’anni fa, era stata ritenuta dagli inquirenti priva di riscontri, pur ricca di dettagli, e pertanto archiviata. Adesso però sono emersi particolari nuovi dalle intercettazioni. In particolare una persona molto vicina al boss, intercettata, avrebbe parlato inequivocabilmente di quando “si purtaru a Benedetto”, fornendo anche altri elementi che consentirebbero, secondo gli investigatori, di chiudere il cerchio. Il movente sarebbe un sospetto e cioè che quel ragazzo avrebbe potuto partecipare a un attentato contro i Sanfilippo, nel corso della guerra che in quegli anni stava combattendo contro Cosa Nostra.
L’ordinanza di custodia cautelare, un mattone di oltre duemila pagine, accoglie la richiesta dei sostituti procuratori Davide Spina e Claudia Pasciuti, sotto il coordinamento del procuratore facente funzioni della Dda di Caltanissetta, Roberto Condorelli. L’operazione, condotta dagli uomini del colonnello Vincenzo Pascale, ha consentito di fare luce anche su un altro “cold case”, un altro caso di lupara bianca avvenuto a Mazzarino.
Nell’agosto del 1991, Luigi La Bella aveva 28 anni. La sua uccisione, un delitto i cui particolari emersi sono a dir poco agghiaccianti, è contestata a vari esponenti del clan Sanfilippo. Fu sua madre a denunciarne la sparizione. Il ragazzo aveva con sé pochi soldi e non era normale che scomparisse senza dire nulla. Per la Dda di Caltanissetta, sarebbe stato attirato con l’inganno in casa dei Sanfilippo, picchiato e orrendamente mutilato. Gli avrebbero tagliato le orecchie, le dita e il naso pur di estorcergli informazioni.
Alla fine il ragazzo fu strangolato. Anche in questo caso, ciò che era emerso dalle prime indagini, avrebbe trovato adesso un riscontro nei racconti, captati durante le intercettazioni, di una persona vicina al boss, che avrebbe riferito anche le scene più raccapriccianti, a cui avrebbe assistito un bambino, il quale sarebbe rimasto fortemente scosso da quella macabra scena. Il giovane La Bella era sospettato di essere il custode delle armi per conto di uno dei clan rivali. Il suo corpo sarebbe stato gettato in un pozzo e mai rinvenuto. Secondo quanto è emerso, durante le torture, a un certo punto gli stiddari si sarebbero resi conto che la vittima non aveva nulla da confessare, ma ormai avrebbero pensato che fosse troppo tardi per salvargli la vita e decisero di ucciderlo lo stesso.
“Nel corso delle indagini – ha detto il pm Spina durante la conferenza stampa di oggi – che si sono svolte anche attraverso intercettazioni ambientali, sono emersi nuovi elementi su due omicidi di mafia con il metodo della “lupara bianca”, quelli di Benedetto Bonaffini e di Luigi La Bella. Abbiamo ricostruito sia il movente che i dettagli dei delitti, maturati nel contesto della guerra di mafia tra Cosa Nostra e Stidda”.