PALERMO – Della serie, il lavoro nobilita l’uomo e gli evita pure il carcere. Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo ha concesso gli arresti domiciliari a Giovanni Bruno, finito in cella il 10 luglio scorso con l’accusa di avere fatto parte di una banda ritenuta responsabile di una trentina di rapine in città e provincia. Era diventata l’incubo di commercianti e cittadini indifesi.
Il gip Michele Alajmo ha accolto la richiesta dell’avvocato Calogero Vella con una motivazione che affronta temi sociali ancor prima che giuridici. Bruno, secondo la ricostruzione della sezione Antirapina della Squadra mobile, avrebbe svolto un ruolo di appoggio in un solo assalto. La sua è una condotta che Alajmo definisce “sintomatica di quella appartenenza o contiguità, coartata dallo stesso fattore sociale e ambientale, che individua quella zona grigia di sconfinamento fra il crimine, quale fattore di condizionamento sociale, e il suo riscatto con l’orientamento del reo e la sua propensione al lavoro quale elemento esso stesso di rieducazione e ricomposizione del conflitto sociale”.
E Bruno, in effetti, soggetto incensurato, è uno che ha sempre lavorato. Fa il pasticciere, regolarmente assunto. Il lavoro, secondo il giudice, è l’unico strumento possibile di rieducazione. E così da oggi va agli arresti a casa, con uno speciale permesso: ogni giorno potrà recarsi nel laboratorio di pasticceria. Una misura meno afflittiva del carcere che può bastare a garantire le esigenze cautelari.
