PALERMO – Regola numero uno per essere un buon estorsore: mai fare mosse azzardate. L’anziano boss di Bivona, Giuseppe Luciano Spoto, uno dei 57 arrestati del blitz di ieri, suggeriva l’acquisizione preventiva di informazioni sulla vittima: “… per esempio a Favara… noi dobbiamo andarlo a cercare e dirgli che persone sono… lui ti dice sono avvicinabili… è questo il passo da fare… sono persone avvicinabili che ci si può andare… allora uno ci va… se lui dice ‘non è avvicinato’… ci togliamo le mani e chiuso… perché io non posso consumare a te… io non posso mettere in difficoltà l’amico… se lui… la persona è affidabile… ma non è che ti vengo a cercare… io faccio… direttamente… vado là… faccio quello che devo fare”.
Regola numero due: mettere subito le cose in chiaro. Vincenzo Mangiapane, della famiglia mafiosa di Cammarata, era categorico: “… rompere le palle ad uno due persone… quanto camminano un po’ con la testa bassa… poi si vede e si discute… mi si gonfia la minchia che ancora al mio paese… al mio paese… devono venire… di lì con i camion che sono alla stazione che ci lavorano… senza dire nemmeno buongiorno…”.
Regola numero tre: intimidire chi non vuole pagare. Ecco il pensiero di Giuseppe Quaranta, della famiglia di Favara: “… noi siamo quelli che siamo… noi non cerchiamo a nessuno… nel momento in cui arrivano… tre… quattro… cinque giorni al massimo il segnale… devono essere loro a cercarci… o vengono per noi o se ne vanno dagli sbirri… le strade sono due punto…”. E via con le intimidazioni: “corone di fiori” nei cantieri o “l’acido delle batterie” nei serbatoi degli escavatori.
C’era chi, come Antonio Giovanni Maranto, reggente del mandamento di San Mauro Castelverde, nel Palermitano, non badava troppo per il sottile “…colpiamo e vaffanculo, così corre…”. Allora sì che la vittima del pizzo si sarebbe decisa a pagare.