PALERMO – C’è un quadrilatero tutto siciliano attorno a Matteo Renzi, in queste ore caldissime della partita sulle riforme istituzionali. Il premier ha deciso di rompere gli indugi, mettendo all’angolo la riottosa minoranza del partito e puntando direttamente all’Aula, senza più manfrine in commissione. Il disegno di legge di riforma approderà già domani all’esame dell’Aula del Senato. Una prova di forza che ha fatto infuriare le opposizioni, che con una mossa dell’ultimo momento si erano dette pronte a ritirare migliaia di emendamenti per riprendere l’esame in commissione.
Il blitz di oggi arriva dopo che ieri era proseguito il braccio di ferro con la presidenza del Senato, per l’annuncio della convocazione della coneferenza dei capigruppo da parte di Palazzo Chigi, che ha irritato Pietro Grasso. L’ex magistrato è uno dei quattro siciliani con un ruolo di primo piano nel duello della riforma costituzionale che dovrebbe, tra l’altro, cambiare i connotati proprio a Palazzo Madama.
Grasso negli ultimi giorni è entrato in attrito col governo, ha difeso a spada tratta le prerogative del Parlamento, e al netto della retorica, ha confermato ancora una volta che il feeling con il premier non c’è proprio. Il punto del contendere stava nel riaprire o meno gli emendamenti al famoso articolo 2 della riforma, quello che stabilisce che i senatori non saranno più eletti direttamente. Punto che non piace alle opposizioni e soprattutto alla minoranza dem, capitanata proprio da quel redivivo Pierluigi Bersani che spalancò a Grasso in modo improvviso e forse insperato le porte dei vertici delle istituzioni repubblicane, pescandolo dal mazzo dei non politici a principio di questa avventurosa e per lui sventurata legislatura.
Ma l’assedio a Grasso è partito da quel dì. E oggi pomeriggio alla capigruppo che alla fine il presidente ha convocato, la posizione di Renzi, cioè si va in Aula a contarsi, ha prevalso a maggioranza. Alla capigruppo Grasso ha voluto Anna Finocchiaro, che ieri ha già chiuso, precedendo Grasso, la porta agli emendamenti all’articolo 2. E’ proprio l’eterna Anna il secondo vertice del siculo quadrilatero, ideale ring in cui Renzi gioca il suo match contro i rivali interni della sinistra Pd. La presidente della Commissione Affari istituzionali ha giocato fin qui una parte decisiva. “Prima avevamo solo due papi, poi due presidenti della Repubblica, da oggi abbiamo due presidenti del Senato”, commenta un parlamentare navigato come Mario Mauro, citato dall’Huffington. D’altronde, Annuzza di sé ebbe a dire anni fa: “Un uomo con il mio curriculum sarebbe già stato nominato presidente della Repubblica da tempo”. Figurarsi presidente del Senato.
Nelle eterne baruffe interne del litigioso Pd, la Finocchiaro, che fu a sinistra del partito e vicina a Bersani, oggi s’è spostata più vicino a Matteo, Maria Elena Boschi e ai loro rampanti e neopotenti rottamatori. Un guizzo niente male, che assicura all’ex magistrato comunista dalla voce scura un’altra stagione ai piani altissimi della politica romana, lei che siede in parlamento dai tempi in cui il Muro ancora spaccava in due Berlino.
Ma malgrado le mosse di Anna e le ritrosie di Pietro, in questo derby siculo tra occidente e oriente, l’impressione generale è che domani all’arrivo in Aula, senza un accordo interno al Pd, il percorso delle riforme possa essere quanto meno accidentato. La caccia al singolo voto è partita da un pezzo (“Renzi gioca a poker e vuole andare in aula domani. Quanti senatori avrà ‘affiliato’? Vergogna”, scriveva nel pomeriggio su Twitter il grillino Cioffi), ma gli ostacoli sono tanti.
Lunedì Renzi cercherà una complicatissima quadra in una riunione di partito. Ma bisogna mettere il ferro dietro la porta anche con gli alleati. E qui si arriva al terzo vertice del quadrilatero isolano, il “compagno” Angelino Alfano, l’ex berlusconiano sempre più renziano, che col suo partito che ancora inspiegabilmente porta la parola “centrodestra” nella ragione sociale, garantisce alla maggioranza un prezioso pacchetto di voti in Aula. Malgrado tutto. I suoi, però, soprattutto i tanti non garantiti da assicurazioni di rielezione in liste bloccate alla prossima mano, soffrono più di un mal di pancia. “Ieri ho sentito Renzi e mi ha detto: ‘Ma sai che me ne frega di Ncd? Se non è arroganza questa…”, racconta Fabrizio Cicchitto secondo il resoconto odierno di Repubblica. Angelino non fa una grinza: in ballo c’è la sopravvivenza politica della poltrona, tema a cui sì è dimostrato sensibile. E quella sopravvivenza passa dal buon rapporto con Renzi. Punto.
Insomma, la maretta c’è tutta. E senza una pax, un accordo che la ministra Maria Elena Boschi e la stessa Finocchiaro assicurano possibile, il rischio che la legislatura finisca in burrasca c’è eccome. Con le sirene del voto anticipato che continuano a farsi sentire. Servirebbe la moral suasion del Quirinale. Eccolo, il quarto e più alto vertice del quadrilatero siciliano. Sergio Mattarella, che Renzi è convinto di avere dalla sua nella partita. Ma che tace secondo l’ormai collaudato stile. Almeno per il momento.