Minacciandoli di licenziamento avrebbe costretto i propri dipendenti a restituire quote dei loro stipendi che venivano depositate in conti correnti intestati a prestanome, a volte gli stessi lavoratori. In alcuni casi il denaro sarebbe stato utilizzato per aprire libretti al portatore in numerose aziende di credito, con la complicità di funzionari di banca, ma gli investigatori non escludono che altri fondi siano finiti in conti esteri. E’ l’accusa mossa dalla Dda di Caltanissetta a Pietro Di Vincenzo, 57 anni ex presidente siciliano dell’Ance (associazione dei costruttori), arrestato per riciclaggio dal Gico della Guardia di finanza. Assieme a Di Vincenzo è finito in manette Giuseppe Sirigo, 70 anni di Avola (Sr) ritenuto socio occulto dell’imprenditore, mentre sono indagate altre dieci persone. A Di Vincenzo vengono contestati anche i reati di estorsione, attribuzione fittizia di beni e ricettazione. Nell’ambito della stessa operazione sono stati sequestrati beni per un milione di euro intestati a due aziende, la Nova Costruzione e la Nissambiente, alle quali l’imprenditore avrebbe ceduto fittiziamente la propria attività. Oltre a guidare l’Ance, Di Vincenzo è stato anche presidente di Confindustria a Caltanissetta, la federazione da dove è partita, qualche anno più tardi, la rivolta degli industriali, capeggiata da Ivan Lo Bello, contro il racket delle estorsioni con la modifica del codice etico dell’associazione e l’espulsione degli imprenditori che non denunciano il pizzo. Di Vincenzo era stato già arrestato nel 2002 per associazione mafiosa e assolto in appello. Nei confronti dell’imprenditore la sezione misure di prevenzione del Tribunale di Caltanissetta aveva tuttavia disposto la confisca di beni per 260 milioni di euro. L’indagine sfociata oggi nel nuovo arresto, coordinata dal procuratore Sergio Lari, riguarda la gestione delle aziende un tempo appartenute a Di Vincenzo, e dove secondo l’accusa venivano violate le regole contrattuali. In particolare i dipendenti avrebbero ricevuto un trattamento economico effettivo di gran lunga inferiore a quello che ufficialmente risultava in busta paga. In tal modo l’imprenditore avrebbe accumulato ingenti risorse finanziarie in nero, che venivano poi reimpiegate. Di Vincenzo, secondo l’accusa, poteva anche contare su una talpa all’interno delle Fiamme gialle. “In uno dei nascondigli utilizzati dall’imprenditore – ha spiegato Lari – è stata trovata una annotazione di servizio del Gico ai superiori contenente l’elenco dei beni dell’imprenditore da sequestrare. Sulla scorta di questo documento Di Vincenzo accelerò la finta cessione di rami d’azienda e beni immobili”. L’inchiesta ha consentito di individuare oltre 160 depositi bancari intitolati a prestanome, dipendenti costretti a cedere un terzo del loro stipendio. Gli investigatori hanno verificato la posizione reddituale e patrimoniale di oltre 1.500 dipendenti delle società riconduicibili a Di Vincenzo. La Procura, in particolare, ha accertato che il 20 ottobre 2006, e cioé pochi giorni prima dell’adozione della misura di prevenzione, la “Di Vincenzo spa” ha ceduto alla società “Nova costruzioni srl” il ramo d’azienda relativo alle attività di recupero e smaltimento di rifiuti e le attività inerenti all’igiene urbana ed ambientale, in atto gestite dalla consortile “Nissambiente” con sede a Caltanissetta.
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