Il pentito Scollo: "Finocchiaro| voleva uccidere un pm" - Live Sicilia

Il pentito Scollo: “Finocchiaro| voleva uccidere un pm”

Colpo di scena nel processo contro Orazio Finocchiaro. La Procura ha chiesto al Tribunale di ascoltare come teste Giuseppe Scollo, nuovo collaboratore di giustizia che ha raccontato "di aver appreso in carcere del progetto di attentato a un magistrato".

CATANIA – Orazio Finocchiaro avrebbe progettato un attentato contro un magistrato di Catania. La notizia, nel 2012, sarebbe arrivata all’orecchio di Giuseppe Scollo, all’epoca detenuto in carcere e da poco diventato collaboratore di giustizia. L’ex affiliato alla cosca Santapaola ha raccontato tutto ai pm della Dda di Catania e questo verbale di interrogatorio questa mattina è stato portato dai sostituti Antonella Barrera e Giovanella Scaminaci nell’aula dove si celebra il processo contro Orazio Finocchiaro, accusato di associazione mafiosa, come appartenente al clan Cappello. Oltre all’acquisizione del verbale il pm ha chiesto che Scollo venga ascoltato nel corso del dibattimento al fine di approfondire nei dettagli quanto ha asserito.

Un piccolo colpo di scena nell’udienza che si è svolta in una delle aule del Palazzo di Giustizia di via Crispi. Pochi minuti, giusto il tempo di formulare le istanze da parte dei due sostituti. La quarta sezione penale del Tribunale di Catania, presieduta da Rosario Grasso, ha rinviato il processo per poter sciogliere la riserva sulle richieste della Procura e anche per dare modo alla difesa di approfondire le nuove fonti di prova portate dall’accusa. Sono stati anche prodotti i tabulati della corrispondenza carceraria intrattenuta dal Finocchiaro fino al mese di aprile 2012 (periodo a cui si riferisce la contestazione). Il pm ha chiesto inoltre al Tribunale che in caso di accoglimento per la citazione del collaboratore Giuseppe Scollo come nuovo teste, sarebbe stato utile programmarla prima dell’esame dell’imputato Orazio Finocchiaro.

Per la Procura fu lui a dettare (a uno scribano) la stesura di due pizzini con cui si ordinava l’uccisione di un magistrato della Direzione Distrettuale Antimafia. Quei bigliettini finirono nelle mani di Giacomo Cosenza, diventato poi collaboratore di giustizia, che li consegnò nelle stesse mani del pm da “crivellare di colpi”: Pasquale Pacifico. La perizia grafica di questi due biglietti è stata al centro per molte udienze di questo processo. Il collegio di consulenti nominato dal Tribunale ha escluso la compatibilità tra la calligrafia di Orazio Finocchiaro e quella usata per scrivere i pizzini, mentre hanno dichiarato che possa esserci “una discreta probabilità” di compatibilità con il saggio grafico di Cosenza. In poche parole per i periti c’è una “discreta probabilità” che sia stato proprio il collaboratore a redigere i pizzini incriminati. Una valutazione che va nella stessa direzione di quella del perito della difesa, rappresentata dagli avvocati Giuseppe Marletta e Francesco Strano Tagliareni, ma che è stata invece ritenuta “priva di fondamento” dal maresciallo dei Ris Vito Matranga. “Escludo che sia stato Cosenza a scriverli” – ha detto durante l’interrogatorio.

Un particolare però è stato ribadito dalla Procura durante il dibattimento: la comparazione calligrafica che in fase di indagine fu svolta dalla Polizia Scientifica riguardava i pizzini e alcune lettere scritte nell’interesse di Orazio Finocchiaro, detenuto nella casa circondariale di Tolmezzo ad Udine. E queste due grafie secondo il poliziotto Galvagno e secondo anche il terzo perito nominato dalla Procura sono “compatibili”. L’unica differenza tra le due analisi è che la polizia scientifica aveva dato per scontato che a compilare i moduli fosse lo stesso detenuto, quando invece per sua stessa ammissione Finocchiaro aveva “delegato” un’altra persona a scrivere per lui. Per l’avvocato Salvatore Giuliano l’imputato avrebbe avuto uno “scribano”.

Orazio Finocchiaro, dopo l’esame del consulente Giuliano, ha deciso di rilasciare dichiarazioni spontanee affermando che già prima dell’Udienza Preliminare aveva detto chi erano state le due persone che avevano scritto i suoi documenti da detenuto e cioè Paolo Leone e Piero Giovanni Salvo. Nomi che l’imputato aveva fatto al pm di Tolmezzo e che saranno al centro del suo interrogatorio che si svolgerà probabilmente a chiusura della fase dibattimentale del processo. E che quindi precederà la requisitoria dei pm e dunque l’arringa delle difese.

Le nuove dichiarazioni del collaboratore Giuseppe Scollo accrescono dunque l’apparato probatorio dell’accusa che si compone di intercettazioni, attività di riscontro e delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Natale Cavallaro che dimostrerebbero “l’appartentenza dell’imputato alla frangia dei Carateddi, all’interno della cosca Cappello” e dei suoi tentativi di scalata all’interno del gruppo criminale e “la sua capacità ad impartire ordini nonostante la detenzione in carcere”. Acquisita anche la “lettera intercettata” dalla Mobile a casa di un affiliato: una missiva letta a voce alta che “ordinava al figlioccio” di affidare a un’altra persona la gestione di una piazza di spaccio.

Nelle scorse settimane si sono susseguiti gli interrogatori dei testi della difesa. Sono stati ascoltati investigatori, ma anche colonnelli del clan Cappello come Mario Strano e Antonino Farò. Quest’ultimi due detenuti hanno smentito quanto dichiarato dal collaboratore Giacomo Cosenza.

 


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