28 Dicembre 2016, 14:06
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PALERMO – Accanto all’ingresso laterale della canonica, quello forzato dai rapinatori, c’è il citofono. Si presenta un ragazzo dello Zen. Bartolomeo è il sacrista della chiesa di San Filippo Neri, vive spalla a spalla con Miguel Pertini. Il parroco non c’è, o forse non vuole parlare. L’appuntamento è per la messa della sera.
È scosso per quanto accaduto all’alba di ieri. In quattro, forse cinque persone si sono presentate in chiesa. Hanno rubato la pisside per le ostie – furto anomalo e per certi aspetti inquietante – poi sono saliti negli alloggi. Al secondo piano dormivano gli anziani genitori di don Miguel, giunti in città dall’Argentina, assieme a una badante, per trascorrere qualche giorno con il figlio. Sono stati svegliati dai rumori e si sono ritrovati di fronte i rapinatori.
Le urla di paura hanno buttato già dal letto il sacerdote, precipitatosi in soccorso dei genitori. Minacciato con la pistola, è stato colpito alla testa con il bastone strappato al padre. Il sacrista racconta la convivenza “pacifica” del sacerdote con la gente di un quartiere che offre la desolante immagine di sempre. La chiesa si trova in mezzo alle palazzine. Qualcuno se ne sta affacciato al balcone. Un occhio ai cronisti curiosi che fanno domande e scattano foto. Ci si può abituare al degrado, ai cumuli di robe vecchie accatastate per strada, ma mai ai giornalisti.
“Sono qua da 29 anni, ci sto benissimo, non ho vergogna di vivere qua. Uno si fa i cavoli suoi e basta”, dice una signora. Il diritto di criticare quanto accaduto a don Miguel sfugge all’imperativo del silenzio. Non solo per solidarietà nei confronti del sacerdote – “è una brava persona” – ma per condannare il disonorevole gesto compiuto da “ragazzacci, sbandati”. D’altra parte, si chiede la donna, “chi può essere a toccare la chiesa, non si è permesso mai nessuno”.
Le cose non stanno proprio così. La cronaca in passato ha già registrato due episodi con protagonista don Miguel. Il primo nel 2009, ad un anno all’arrivo allo Zen 2 del sacerdote italo-argentino, nipote del capo dello Stato Sandro Pertini. Fu il pentito Salvatore Giordano a raccontare che i picciotti del clan erano andati a bussare alla porta della chiesa. Pretendevano il pizzo sulla gestione del campetto della parrocchia dopo che don Miguel aveva messo alla porta l’uomo che fino ad allora lo aveva gestito. Il sacerdote si guardò intorno, avrebbe individuato i mammasantissima del rione, ma quando gli dissero la cifra da pagare, considerata troppo alta, decise di non pagare. Arrivarono le minacce, anche pesanti, seguite dal suo silenzio. “A volte è meglio tacere anche una verità… per il bene del quartiere. Non sono il parroco del centro di Milano, basta una parola sbagliata…”, disse il prete ai giornalisti senza entrare nel merito della questione. Erano anni diversi, anni in cui lo Zen era segnato da guerre di potere all’interno dei clan. Ma erano anche anni in cui la polizia sgombrava gli abusivi e forse il prete venne visto come un nemico.
Un anno dopo accadde di nuovo. Allora neppure i pentiti vennero in soccorso degli investigatori. Nulla sapevano dei venti ragazzi che si erano presentati davanti alla chiesa armati di mazze e bastoni al termine della messa. Quando arrivarono i poliziotti si erano tutti dileguati. “La chiesa è chiusa, non ho niente da dire”, spiegò don Miguel, rientrando nella grande struttura in cemento protetta da un’inferriata nera. Un’inferriata che si fa simbolo di distanza, di un’intesa mai sbocciata. Fino al punto che per alcuni la sacralità della parrocchia di San Filippo Neri poteva essere violata con un raid. I “ragazzacci, sbandati” lo hanno fatto all’alba.
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28 Dicembre 2016, 14:06