“I conti della Regione siciliana sono nel caos? Sto seguendo la vicenda da lontano. Di sicuro la colpa non è nostra”. Alessandro Baccei risponde da Roma, dove è tornato a fare il suo “lavoro di consulente per le aziende, quello che mi riesce meglio, forse meglio di quello di assessore all’Economia” scherza.
Eppure quella sua esperienza da assessore del governo Crocetta sembra ancora attualissima. Nel raccontare le difficoltà del bilancio siciliano, l’esecutivo di Musumeci fa spesso riferimento alla “pesante eredità del passato”. Si sente un po’ in colpa? Crede di avere qualche responsabilità sulle attuali difficoltà della Regione?
“Direi di no. Anzi, sono convinto di avere lasciato un bilancio in condizioni più che buono, strutturalmente a posto. I problemi di cui si parla credo che nascano dal riaccertamento dei residui fatto nel 2015 e in ritardo rispetto alle norme nazionali. Ma vorrei ricordare una cosa”.
Cosa?
“Quando io sono arrivato nel governo di Crocetta la Regione era tecnicamente fallita: mancavano tre miliardi per chiudere il bilancio. Oggi vedo che i problemi sono quelli di trovare 50 milioni. Magari avessi avuto io quei problemi”.
Quel riaccertamento però lo faceste proprio voi.
“Il riaccertamento dei residui fu fatto sulla base delle informazioni che avevamo a quella data e abbiamo dovuto farlo in 5 mesi. Abbiamo seguito la legge, facendo il saldo e spalmando la differenza. Se poi nel tempo i residui attivi non sono stati riscossi, spesso per la mancata certificazione della spesa, non si può imputare a noi”.
Lei è sicuro di avere lasciato un bilancio migliore di quello che aveva a sua volta ereditato?
“Guardi, in questo senso parlano i numeri: le entrate effettive sono aumentate di circa 2,5 miliardi grazie agli accordi con lo Stato e abbiamo ridotto le spese di circa 700-800 milioni”.
Accordi con lo Stato che il nuovo governo però vuole ridiscutere.
“Per carità, lo faccia. Ma non capisco quale potrà essere l’impatto reale sul bilancio: il calo del contributo alla finanza pubblica da 1,3 miliardi a un miliardo era già previsto in Finanziaria quando c’eravamo noi. L’unico vantaggio vero forse è sulle Province: ma i soldi che lo Stato concederà dovranno essere utilizzate esclusivamente per gli investimenti. Altre entrate vere non ce ne sono. Anzi…”.
… anzi?
“Mi pare di capire che in bilancio ci siano i soldi, nonostante l’accordo non sia stato ancora formalizzato”.
Eppure, in un contesto come quello attuale, si torna a parlare di assunzioni alla Regione. Crede sia uno scenario concreto?
“Anche io, si ricorderà, avevo previsto di rifare assunzioni mirate. Il punto è definire di quante persone abbia bisogno la Regione a regime. E questo può essere fatto seguendo alcuni parametri come il rapporto tra personale della Regione e popolazione, oltre alle funzioni speciali dello Statuto. Con i calcoli che avevo fatto sarebbero bastati circa 9 mila persone”.
Significa che dovrebbero lasciare la Regione altri 5-6 mila lavoratori, altro che assunzioni.
“Noi avevamo avviato alcuni prepensionamenti per arrivare in un tot di anni a quel numero. Si può pensare di spostare magari più in là la data per completare quella riduzione, perché magari servono avvocati o altre professionalità. Bisogna tener d’occhio i conti, certo, ma anche far funzionare la macchina. C’è poi un elemento che va ricordato: con la legge sui prepensionamenti si può sostituire chi è andato in pensione, non chi è andato in pensione anticipata”.
Altro capitolo: la Regione senza soldi parla di un maxi-progetto per un faraonico centro direzionale e si prepara anche al riacquisto degli immobili che una volta erano di sua proprietà. È fattible secondo lei?
“Riguardo al riacquisto degli immobili credo che la cosa si possa fare a determinate condizioni. Oggi la Regione paga credo circa 40 milioni di euro l’anno di canoni d’affitto. Posso pensare di riacquistare quegli edifici a patto che il mutuo che accendo mi costi meno di quei 40 milioni. Era una cosa che avevamo pensato anche noi, con la norma sul Fondo pensioni”.
A proposito di Fondo pensioni. Lei dice: mandiamo la gente in pensione anticipata, in modo da ridurre i costi. Ma in Sicilia le pensioni di quegli stessi dipendenti le paga comunque il Fondo pensioni. Dov’è il risparmio per la Regione?
“Noi nella scorsa legislatura avevamo modificato le norme sulle pensioni, visto che ci siamo trovati di fronte a fatti clamorosi: la gente andava in pensione prendendo di più di quanto prendeva lavorando. Ora prendono circa il 30 per cento in meno”.
Insomma, quando si parla di “pesante eredità del passato”, lei si tira fuori. E allora questo stato delle finanze regionali a cosa è dovuto? Lei è, stando agli ultimi anni, una ‘parentesi’ tra Armao e Armao.
“Noi sì che ereditammo una situazione pesantissima. Ma non solo dal governo Lombardo. Quella situazione è frutto di decine di anni di governi. I ventimila forestali non li ha assunti Lombardo, per intenderci. Noi gente in più non ne abbiamo assunta. La svolta con noi c’è stata. Ora si parla di riassumere, ma al momento non mi pare ci siano le risorse e spero che la Corte dei conti e il governo nazionale con le impugnative continuino a vigilare”.
Come è stato il rapporto con Crocetta quando lei era assessore?
“Vede, io ero un tecnico che arrivava da fuori, con un doppio vantaggio e un doppio svantaggio: non avevo alcun legame con i territori, per cui una provincia per me valeva un’altra; e non avevo interessi politici legati magari al Pd. Ho fatto manovre dolorose, mi rendo conto. Crocetta era un politico e digerire certe manovre non è facile. Ma io sono stato molto rigoroso perché non c’era forse allora via d’uscita. Altro che la situazione attuale… io avevo la Digos in assessorato quando sono arrivato, perché la gente non aveva gli stipendi e veniva ogni giorno a protestare. Questa cosa non c’è più. Anche grazie a noi”.
In quegli anni ha pensato di mollare la Sicilia e tornare al suo lavoro? Magari dopo qualche lite con Crocetta, penso alle accuse che le riservò sulla Centrale unica di committenza e il cosiddetto “Sistema Consip”.
“Diciamo che con Crocetta ci sono stati più screzi su cose marginali che sostanziali. Poi una cosa è Crocetta, altra cosa è il suo entourage, il contesto. Io e lui trovavamo subito la quadra. E anche lui alla fine c’era sempre nei momenti che contavano, con le difficoltà di un politico con una maggioranza a cui rendere conto”.
E anche pezzi del Pd che lo attaccavano ogni giorno. A partire dal suo amico Davide Faraone. Ha mai chiesto all’attuale segretario regionale Dem di smetterla con gli attacchi a quel governo di cui lei stesso faceva parte?
“Sì, gli ho detto più volte di non sparare su quel governo. Nonostante la stima reciproca o forse proprio quella, in quegli anni ho avuto più discussioni con Davide che con Crocetta. A volte le mie difficoltà arrivavano proprio da lì: tu provavi a fare un percorso difficile e arrivavano questi attacchi…”
Da Roma che idea si è fatto dei primi passi del governo regionale e del presidente Musumeci?
“Musumeci lo conosco bene perché in quei tre anni lui era un deputato e per lui ho la massima stima: la reputo una persona onesta e politicamente molto capace. Secondo me però si scontra con le difficoltà di una macchina organizzativa difficile da gestire, e con la mancanza di una maggioranza. E lui ha un governo che è tutto politico: quindi alla difficoltà a far funzionare una macchina come quella regionale nella quale mancano molte competenze, si aggiungono le necessità dei politici”.
Eppure quel governo punta spesso il dito contro di lei, contro quell’esperienza di governo.
“Ecco, il problema è proprio quello: lui parla di eredità del passato quando parte del passato ce l’ha dentro la giunta. Non mi pare abbia fatto granché finora quel governo. Eppure potrebbe fare molto di più. La base di partenza è assai migliore di quella lasciata al governo Crocetta”.