Santa Rosalia crack Giulio Zavatteri

“Il crack ha portato via Giulio. Bene l’arcivescovo, lo spaccio è ovunque”

L'intervista a Francesco Zavatteri, dopo le parole di Lorefice
IL DRAMMA E IL FESTINO
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PALERMO – Due città si rincorrono, nel lungo giorno del Festino: quella della riscossa contro i trafficanti, che segue, speranzosa, lo sguardo dell’arcivescovo Corrado Lorefice e la Palermo di chi vende dosi di crack, come quella che ha ucciso il giovane Giulio Zavatteri. Il padre, Francesco, ne ha fatto una ragione di vita e di lotta e racconta la notte dedicata a Santa Rosalia, pensando a uno degli ultimi pomeriggi col figlio.

Dal Festino arriva un attacco frontale alle ‘pesti’ di Palermo, soprattutto la droga. Cosa ne pensa?
“È un messaggio fortissimo e dirompente da parte di monsignor Corrado Lorefice che avrà sicuramente i suoi effetti nella società civile”.

Quali parole l’hanno colpita di più?
“Il modo assolutamente diretto e privo di preamboli con i quali lui attacca questo fenomeno indecente in questa città, per i nostri figli. Tutti sono esposti a questo fatto increscioso. Purtroppo il crack maledetto dilaga in tutti gli ambienti”.

Molto spesso si pensa che queste cose siano distanti da noi
“L’ultima cosa che pensavo è che mio figlio Giulio potesse perdere la vita a causa delle sostanze stupefacenti. Perché era un ragazzo fantastico, in ogni aspetto. Purtroppo devo evidenziare che il messaggio di monsignor Lorefice non è ascoltato nei quartieri in cui avviene lo spaccio”.

Cosa ha visto?
“Ieri, mentre rientravo, passando dal Foro Italico, dopo aver visto il Festino, sono dovuto passare dalla Vucciria ed era pieno di spacciatori che spacciavano tranquillamente e serenamente. Così come continua ad avvenire a Ballarò, allo Zen e al Borgo Vecchio”.

In pratica ci sono due Palermo, quella di sempre e quella che potrebbe esistere nel futuro, se si seguissero le parole di Lorefice
“Paradossalmente sì, la Palermo che festeggia Santa Rosalia e ascolta le parole dell’arcivescovo e la Palermo che continua a vendere la morte a basso prezzo ai nostri ragazzi, indifferentemente, quasi provocatoriamente, oserei dire”.

Lei è un credente?
“Sì, sono credente e questa esperienza mi ha insegnato che tutto in un attimo può cambiare nella vita, ma non bisogna arrendersi e piegarsi. Penso che mio figlio Giulio mi abbia insegnato tanto. Ci ha fatto ridere e ci ha insegnato a inginocchiarci e a piangere. Ma io credo che adesso lui sia nella pace e nella serenità di Dio”.

Qual è il messaggio che manda ai ragazzi?
“Lo stesso che ho fatto scrivere sulle magliette nella Casa di Giulio (la struttura di accoglienza fondata dal dottore Zavatteri, che è un farmacista, ndr): ‘Non fatevi rubare la vita dalle sostanze’. La droga prima o poi ti presenta il conto, come dicevo a mio figlio. Quando ci si addentra in questo mondo è difficilissimo uscirne vivi o sani”.

Pensando a Santa Rosalia cosa le viene in mente?
“Una delle ultime giornate bellissime che ho trascorso con mio figlio, a guardare alcune partite di tennis al Country. Poi andammo nella grotta di Santa Rosalia, che era piena di fedeli e l’ho visto in un momento di raccoglimento: ho pensato che forse qualcosa si stava muovendo nel suo cuore. Sicuramente si avvicinava al desiderio di abbracciare Dio”.


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