CATANIA. I precari della scuola chiedono “la Grazia” a Napolitano. Gli insegnanti catanesi lanciano “provocatoriamente” la richiesta al Capo dello Stato sottolineando, però, di non avere commesso “reati”. “Siamo colpevoli, semmai, di essere stati presenti nella scuola pubblica e avere avuto la pazienza di lavorare in zone disagiate per pochi soldi” dice la segretaria generale della Flc Cgil, Antonella Di Stefano. Le cifre snocciolate dal Coordinamento precari della Cgil non lasciano dubbi sulla gravità del fenomeno. “Nella provincia di Catania i tagli della riforma Gelmini hanno fatto perdere in tre anni 1800 unità, mentre per effetto della legge Fornero il 33% dei docenti che avrebbero raggiunto i requisiti prima della riforma pensionistica, non è riuscito ad andare in pensione, bloccando nuove immissioni di ruolo”. Sono duecento le immissioni di ruolo avvenute quest’anno nelle scuole della provincia di Catania in tutti gli istituti di ogni ordine e grado: “Briciole”. Le insegnanti del coordinamento hanno tutte più di quarant’anni e svariati anni di servizio come precarie, chi sedici o diciassette, alcune addirittura più di venti.
“Per noi è la vita stessa ad essere precaria”. Una condizione che investe le esistenze di chi non può neanche contrarre un mutuo per acquistare una casa e viaggia ogni giorno spesso senza conoscere prima la meta. Come al tempo della “Salva precari” quando Carola, insegnante della scuola primaria, si vestiva al mattino in attesa che la segreteria la chiamasse per comunicarle la destinazione. “Mi sono trovata ad insegnare italiano in prima il lunedì e il giorno appresso a tenere lezioni di matematica in un’altra scuola della provincia”, con buona pace della continuità didattica degli allievi e della serenità mentale della docente. Rosaria che insegna francese dal 1997 non se la passa meglio. “Mi ritrovo a chiedere quasi l’elemosina allo Stato per il servizio prestato finora. L’Italia è fanalino di coda delle classifiche europee rispetto all’insegnamento delle lingue straniere. La riforma Gelmini ha diminuito le ore d’insegnamento, negli istituti turistici si è passati da cinque a tre ore settimanali”.
Meno ore, meno cattedre. “Se hai la fortuna di ottenere un incarico non lavorerai mica sotto casa”. “La zona del calatino, ad esempio, è quella meno gettonata e i posti che restano li vanno a occupare i precari”. Un caso il suo aggravato dalla scelta di molti presidi delle scuole medie catanesi di privilegiare l’insegnamento della lingua spagnola con una conseguenziale riduzione delle cattedre di francese. Le insegnanti raccontano le loro storie, una di loro tuona: “Abbiamo sacrificato la nostra vita e quelle delle nostre famiglie”. Le altre annuiscono e mostrano i moduli per la raccolta firme da consegnare a Napolitano per ottenere la Grazia. Del resto le ricadute della precarietà lavorativa degli insegnanti e la mancata continuità didattica hanno dirette conseguenze sulla preparazione degli allievi. Un’altra nota dolente riguarda gli insegnanti di sostegno e gli allievi più deboli. “La riduzione degli insegnanti di sostegno (per cui a un docente potranno essere assegnati fino a quattro studenti con disabilità psichiche, motorie o dell’apprendimento) rischia di parcheggiare in aula centinaia di alunni disagiati bisognosi di affiancamento nella didattica”. Una condizione dura che al sud è ancora più drammatica nella misura in cui il tempo prolungato è poco diffuso, la dispersione scolastica tocca livelli record e c’è una evidente carenza di strutture scolastiche. Il coordinamento, a tal proposito, propone di istituire “una commissione d’inchiesta regionale sulla scuola”.
L’iniziativa nasce per accendere i riflettori sul mondo del precariato troppo spesso dimenticato. Ad esempio quando il governo Letta proclama che gli insegnanti potranno entrare gratis nei musei e nel provvedimento si scopre che l’agevolazione vale soltanto per “i docenti di ruolo”. “In altri casi invece si ricordano di noi, di solito quando vogliono speculare sulle nostre aspettative” spiega Carola che racconta delle cifre esorbitanti spese negli ultimi quattro anni per dei corsi di formazione e perfezionamento. “I corsi non sono obbligatori ma se non li segui ti vedi sorpassare in graduatoria dagli altri colleghi, io ho speso quattromila euro negli ultimi quattro anni”. La lunga strada per ottenere “punteggio” insomma è lastricata di spese esose e, nonostante tutto, come scrivevano le insegnanti del coordinamento qualche mese fa nei loro volontari distribuiti sulle spiagge: “Il precariato non va in vacanza”.