Fa pensare (molto male) il triste spettacolo del variopinto politicume che si affolla intorno ai morti, ignorando di essere moribondo. Fa pensare che i migranti morti siano più vivi, nella sensibilità pelosa di un’apocalisse, dei migranti sopravvissuti. Fa pensare la corsa sfrenata al comunicato presenzialista. Tutti, ma proprio tutti, hanno parlato. Tutti si sono reciprocamente accusati. Tutti hanno sporcato il fazzoletto di seta con lacrime e squame. Una moltitudine di onorevolissimi italiani non si è fatta scappare l’occasione di spendere una gemma imperdibile sulla tragedia di Lampedusa; come se al popolo importasse davvero qualcosa. Insopportabile cacofonia. La stecca di chi non comprende che un misericordioso silenzio sarebbe preferibile, soprattutto quando risulta controproducente affollare le orecchie di chi non ti vuole, con qualche ragione, ascoltare.
Il motivo della buona ragione di diserzione all’ascolto risiede nell’ipocrisia del contesto. La politica dovrebbe fornire soluzioni e prevenire le catastrofi, non limitarsi al messaggio di cordoglio a disastro consumato. Il cosiddetto dibattito pubblico italiano sulla migrazione si è sviluppato lungo due linee demagogiche e folli. Il celodurismo, il borghezismo, il salvinismo, con frasi oscene che ripugnano a una retta coscienza. Il sempliciottismo di un’apertura totale che ha forse fomentato qualche speranza di troppo. Il senso comune del discorso – garantire opzioni sostenibili nell’ambito di una scelta concretamente umanitaria – si è smarrito nel frastuono degli opposti estremismi, fra il dito medio dei leghisti e le alate colombe della solidarietà altrui.
E la politica vera è rimasta a guardare. D’altra parte è da un po’ che resta a guardare, bloccata fra economie implacabili e destino cinico e baro, paga della chiacchiere del giorno dopo o di timide ricette per la riduzione del danno. La sintesi è amarissima: non ci sono soluzioni da offrire, solo squame e pietà fatta acqua. Lacrime di coccodrillo.