Se muore l'innocenza - Live Sicilia

Se muore l’innocenza

La cronaca cittadina di questi giorni è stata segnata da tragedie che hanno duramente colpito due famiglie: quella del ragazzo morto durante la ricreazione e quella delle ragazze accoltellate nell’androne di casa. Vicende che difficilmente si dimenticano.

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PALERMO – La cronaca cittadina di questi giorni è stata segnata da tragedie che hanno duramente colpito due famiglie: quella del ragazzo morto improvvisamente durante la ricreazione e quella delle ragazze accoltellate nell’androne di casa. Il mio cuore di padre può farmi solo lontanamente immaginare lo strazio dei genitori, chiamati da un destino crudele a fronteggiare un dolore immenso nella sua innaturalità, come può essere innaturale la sopravvivenza di un genitore al proprio figlio. Io, che oggi sono padre e che un giorno fui un liceale, porto dentro il ricordo di un dolore che segnò per sempre la mia vita e che è simile a quello che provano tanti ragazzi in questi loro giorni amari della fine dell’innocenza. Giorni che non dimenticheranno mai.

Febbraio 1975. Come tutte le mattine, due padri si accingono ad accompagnare i figli a scuola. Uno di essi percorre Via Sicilia in direzione di Viale Lazio; l’altro, che ha l’auto posteggiata a spina di pesce sotto casa, ingrana la retromarcia per avviarsi sulla stessa strada. Un tamponamento, le prime parolacce, una scazzottata, spuntano due pistole custodite nei porta-oggetti, partono i colpi, restano sull’asfalto tre feriti. Il più grave ha solo 18 anni. È un mio compagno di classe, si chiama Giuseppe e non arriverà puntuale al suono della campanella. Quel giorno in classe nessuno ci disse niente. Tornai a casa all’ora di pranzo, come sempre. Mia madre mi parlò di un grave incidente. Un giro di telefonate e ci ritrovammo tutti insieme dietro la porta di una sala operatoria di Villa Sofia. Giuseppe era ancora steso sul tavolo operatorio. Ci dissero che era stato colpito ad un fianco e che la pallottola aveva attraversato l’addome da parte a parte. Giuseppe uscì vivo dalla sala operatoria dopo un intervento disperato di sette ore condotto dal professor Troja, pioniere della Chirurgia d’Urgenza. Ci dissero che aveva bisogno di tanto sangue e i più fortunati di noi, quelli che avevano appena compiuto diciotto anni, si misero in coda davanti al Centro Trasfusionale. Andammo via dall’ospedale a tarda sera con i cerotti sulle braccia e la speranza nel cuore. Ma non riuscimmo a separarci per tornare ciascuno alle proprie case. Sentivamo il bisogno di stare insieme per sostenerci l’un l’altro. Quella notte di lacrime e preghiere, mentre il nostro sangue entrava nel corpo straziato di Giuseppe, ci scoprimmo fratelli. La notte in cui morì la nostra innocenza la passammo tutti insieme a Mondello, a casa di Aldo. Qualche panino, un paio di birre, un posacenere pieno di cicche, il bivacco sui divani del salotto. Giuseppe morì il giorno dopo all’alba. Ricordo la messa funebre e la bara che portammo a spalla. Ricordo il giorno del ritorno in classe e i singhiozzi della professoressa che, facendo l’appello, non riusciva a saltare il suo nome. E ricordo soprattutto quel mazzo di fiori poggiato sull’ultimo banco della fila di destra, accanto alla seconda finestra dell’aula. Un banco che nessuno ebbe più il coraggio di occupare. Conservo ancora adesso tra i miei ricordi più cari la foto di Giuseppe che sorride, disteso sul divano di pelle, che sua madre mi regalò prima di essere uccisa da quel dolore immane.

Oggi i miei vecchi compagni li vedo di rado e purtroppo alcuni di essi non li vedrò più. Almeno qui. La vita ha solo in parte allentato quel legame che unisce per sempre chi è cresciuto insieme e che fu rinsaldato dalla tragedia che ci accomunò. Non oso neppure, per pudore e rispetto, rivolgermi a chi oggi piange un figlio mentre stringo a me un altro mio vecchio compagno dei tempi delle elementari che, segnato dalla stessa tragedia, ha portato su queste pagine la sua testimonianza di Fede e di coraggio. Tuttavia, da fratello ormai cresciuto, sento il bisogno di rivolgere un pensiero ai tanti ragazzi che oggi piangono un compagno che non risponderà più all’appello. Conservateli nel vostro cuore, ragazzi, perché essi vivono in voi. Vivono nel ricordo di una serata in pizzeria, di un’interrogazione andata male, di una barzelletta sporca, di una gita scolastica che avreste voluto non finisse mai. Crescerete come sono cresciuto io e seguirete il vostro destino. Ma, per quanto la vita potrà disperdervi, resterete per sempre legati dal dolore che oggi vi straccia l’anima e schiaffeggia il vostro volto imberbe. Questa è la vita, miei piccoli fratelli. Adesso che lo sapete, siatene degni.


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