PALERMO – Il problema c’è. E si chiama Sud. Qui il Pd nei sondaggi più recenti ha dato segnali di fiacchezza. Più che mai in Sicilia. Da Roma in giù la spinta di Matteo Renzi, che altrove avrebbe messo le ali al Partito democratico, sembrerebbe esaurirsi. E a beneficiarne, soprattutto nell’Isola, è il vero e più temuto avversario di Matteo Renzi, ossia Beppe Grillo. Con Forza Italia indebolita dalla scissione e penalizzata dai guai di Berlusconi, la sfida del 25 maggio per i democratici è soprattutto contro un Movimento 5 Stelle che nei giorni scorsi le rilevazioni hanno dato in ascesa. Ed è così che con l’avvicinarsi del voto, al premier viene chiesto uno sforzo supplementare per il Sud. E per la Sicilia in particolare, visti i noti travagli interni del partito nell’Isola che hanno preceduto la campagna elettorale.
È in questo contesto che si deve leggere non solo l’arrivo di Renzi a Palermo, mercoledì pomeriggio in piazza Politeama, ma anche il ritrovato interventismo nelle sicule vicende del fedelissimo del premier, il componente della segreteria nazionale Davide Faraone. Dopo qualche settimana in cui è rimasto defilato, da qualche giorno Faraone ha preso a farsi sentire con costanza. Incalzando il governo regionale su una serie di temi particolarmente cari alla retorica renziana ma anche tipicamente bagaglio dell’armamentario del polemista a cinque stelle. Il tema dei temi è quello dei costi del Palazzo e degli sprechi. E Faraone da un po’ si è messo a tirare la giacca a Crocetta, dando l’impressione di vole dettare una linea renziana per non lasciarsi sorpassare dai grillini su questi temi. Come le auto blu, sulle quali il luogotenente renziano ha suggerito morigeratezza a Crocetta e Ardizzone. Come gli stipendi dei superburocrati, altro tema rodato del bagaglio della Leopolda. E ancora come certi enti e ammenicoli pubblici che costano a fronte di un’utilità discutibile, Faraone ha fatto l’esempio dell’Aran. Oggi è arrivato addirittura un decalogo di cose da fare, sul quale ha ironizzato sui social Antonello Cracolici (“Strano, Faraone propone un decalogo a Crocetta. Ma come mai non lo ha fatto quando hanno dato vita a questo governicchio?”)
L’impressione, insomma, senza scomodare concetti come commissariamento o tutoraggio, è però che da Roma si voglia imprimere a Palermo una direzione di marcia molto netta. Battendo appunto sui tasti sui quali Renzi a livello mediatico riesce a tenere testa agli assalti di Grillo. Crocetta dal canto suo sembra fare spallucce: “Ho ridotto del 20 per cento gli stipendi ai regionali nel dicembre del 2012. La questione riguarda l’Ars”.
Certo, l’asse tra il governatore e il capo dei renziani siciliani c’è, ha portato alla genesi del Crocetta-bis. Ma i distinguo rimangono. E con essi le possibili incomprensioni. Come quella sulle future sorti del Megafono, che Crocetta e Lumia vorrebbero salvare all’Ars, ma che vede pezzi ormai irrimediabilmente in uscita e proprio in direzione Faraone.
Il sodale del premier nel pomeriggio ha voluto inviare segnali di serenità verso Palazzo d’Orleans, pur con qualche “se” fin troppo esplicito: “Non c’è un caso Sicilia. Io credo che questo governo, questo partito hanno un senso anche nell’Isola se fanno le riforme, se si innestano nel meccanismo che si è creato a livello nazionale. Se si fa questo il governo dura, e invece si sta lì per galleggiare, non dura. È un fatto abbastanza naturale”, ha detto Faraone. Per lui il canovaccio, insomma, è quello romano. Avanti ma solo con le riforme. Come a dire che non bastano denunce e generiche dichiarazioni di guerra alla manciugghia. Altrimenti, dall’aria che tira è facile azzardare che Roma sarà pronta a presentare a Palermo il conto per i voti che dovessero mancare all’appello il 25 maggio, rischiando di rovinare la prima festa elettorale del giovin Matteo.