22 Giugno 2017, 05:36
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CATANIA- Sconto di pena ma impianto accusatorio pressoché inalterato. Si è concluso così, questa mattina, il processo d’appello per l’omicidio del 26enne di Mascali Roberto Grasso, ucciso nell’aprile del 2013 con quattro colpi di pistola in un fondo agricolo di Puntalazzo, frazione di Mascali, dove si era introdotto per rubare. A sparare il proprietario, Giuseppe Caruso, unico imputato per omicidio volontario. Dopo meno di due ore di Camera di consiglio la presidente della Corte di Assise d’Appello di Catania, Dorotea Quartararo, ha pronunciato una sentenza di condanna a 14 anni e 4 mesi. In primo grado il pensionato, che aveva esploso contro il giovane ben 4 colpi di arma da fuoco, era stato condannato a 17 anni. I giudici d’appello hanno escluso, come richiesto al termine della propria requisitoria anche dal sostituto procuratore generale Concetta Maria Ledda, l’unica aggravante che era stata contestata, ovvero l’aver commesso il delitto di porto illegale di arma per compiere il delitto. L’accusa aveva però chiesto una riduzione di pena di soli due mesi. Confermata dalla Corte l’assenza dei presupposti necessari per invocare la legittima difesa.
LE ARRINGHE- Non hanno trovato accoglimento stamani da parte della Corte le istanze della difesa. L’avvocato Nino Lattuca aveva chiesto, in primis, la riapertura del dibattimento per ascoltare in qualità di testimone Carmelo Franco, il giovane che la notte dell’omicidio si trovava in compagnia della vittima, e per compiere un sopralluogo nel terreno in cui ha perso la vita Roberto Grasso. Il difensore di Caruso, al termine della propria arringa, aveva poi chiesto l’assoluzione del proprio assistito invocando il riconoscimento della legittima difesa ed in subordine un ulteriore riduzione di pena considerate le attenuanti generiche.
Avevano invece escluso la sussistenza della legittima difesa o dell’eccesso colposo i tre legali di parte civile, Lucia Spicuzza, Claudio Grassi e Giuseppe Di Mauro. Per questi ultimi, infatti, l’assenza di pentimento, la sete di vendetta e l’accanimento mostrati dall’imputato sarebbero indicativi della volontà di uccidere.
LE REAZIONI- Preannuncia già il ricorso in Cassazione, in attesa di conoscere le motivazioni della sentenza, Nino Lattuca, difensore di Giuseppe Caruso. “Ritengo la sentenza ingiusta – dichiara il legale – in quanto la Corte avrebbe dovuto riconoscere la scriminante della legittima difesa”. Soddisfazione è invece stata espressa dagli avvocati di parte civile. “Con questa sentenza la Corte ha dimostrato di aver dato una lettura corretta dei fatti – dichiara Claudio Grassi – Si tratta di un episodio molto grave ed è importante che non sia stata riconosciuta la sussistenza della legittima difesa”. Sulla stessa linea anche l’avvocato Lucia Spicuzza. “Il termine soddisfazione in questi casi forse non è il più adatto – dichiara il difensore – Nessuno restituirà Roberto Grasso ai propri familiari ma di sicuro questa sentenza dimostra che quanto abbiamo sostenuto sin dai primi momenti era corretto. Restiamo convinti che in questo caso non sussistano gli elementi per invocare la legittima difesa e la Corte d’Appello di Catania ci ha dato ragione”.
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22 Giugno 2017, 05:36