Sparatoria Librino, "Contesa violenta per il territorio" - Live Sicilia

Sparatoria Librino, “Contesa violenta per il territorio”

Parte la requisitoria del Pubblico Ministero sui fatti di viale Grimaldi
PROCESSO CENTAURI
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CATANIA – Entra nella fase finale il processo sulla sparatoria di Librino. Iniziato nell’ottobre del 2021, il troncone del processo “Centauri” che riguarda il ruolo dei Cursoti milanesi nel conflitto a fuoco di viale Grimaldi, nell’agosto 2020, è arrivato oggi alla requisitoria del pubblico ministero. La ricostruzione si è concentrata soprattutto sul ruolo delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia all’interno del processo.

Sparatoria Librino: il “prequel”

A prendere la parola davanti alla Corte d’Assise del Tribunale di Catania è il procuratore aggiunto Ignazio Fonzo, affiancato dal pm Alessandro Sorrentino. Dopo una prima parte in cui ricostruisce la storia criminale dei Cursoti milanesi, Fonzo parla del contesto in cui matura la sparatoria: “C’erano – dice – gruppi che si contendevano il territorio in un modo che definire violento è un eufemismo”.

Il pubblico ministero si concentra poi sugli eventi che condussero al conflitto a fuoco, ovvero dell’aggressione che il 7 di agosto 2020 un gruppo dei Cursoti milanesi compì nella tabaccheria e bar di Gaetano Nobile, in via Diaz. “Quali che siano i motivi per cui erano lì – ha detto il pm – il gruppo di imputati non ha potuto smentire di avere partecipato all’aggressione”.

A quel punto, – prosegue la ricostruzione – Nobile si rivolge a Massimiliano Cappello e Sebastiano Lombardo junior, esponenti dei Cappello. “Accade – dice il pm – che chi è aggredito va dal gruppo avverso agli aggressori. Ci sono in quei giorni delle riunioni in cui si è cercato di dare risposta unitaria ai fatti del 7 agosto, in modo da dare soddisfazione a Nobile e affermare la convenienza per altri soggetti”.

Il nodo dei collaboratori

La requisitoria del pm si concentra quindi sul ruolo delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che più volte è stato al centro di discussioni nel corso del dibattimento. Il procuratore aggiunto inizia richiamando le circostanze in cui il primo dei collaboratori, Martino Sanfilippo, ha iniziato a rendere dichiarazioni alla giustizia: “Sanfilippo, ferito, è ricoverato in ospedale, e interrogato è restio perché ha tutto da perdere all’ammettere i fatti. Solo che poi ha deciso di non rispettare la ‘regola aurea’ del fare gli anni di carcere che gli spettavano in silenzio, senza dire nulla: in quel periodo è un ragazzo di 26 anni, ha una convivente, 2 bambini. Perché dovrebbe accollarsi in silenzio le conseguenze dei fatti dell’otto agosto?”

Iniziando a collaborare, racconta Fonzo, Martino Sanfilippo chiama in causa i suoi due fratelli, Ninni e Michael. I quali in quella fase non hanno ancora deciso di collaborare, e, intercettati dalle forze dell’ordine che nel frattempo fanno le loro indagini, prendono le distanze dal fratello.

Le indagini e le altre dichiarazioni dei pentiti

Nello stesso periodo infatti proseguono le indagini “tradizionali”, di polizia giudiziaria. Che si avvalgono anche della perizia balistica del professore Compagnini e della ricostruzione della dinamica dei fatti di Plebe. “Quanto avvenuto dopo – dice Fonzo in aula – ha rafforzato la ricostruzione sia del compianto professore Compagnini che di Plebe: sono intervenute altre dichiarazioni, e l’analisi dei filmati della sparatoria”.

“Dopodiché – continua il procuratore aggiunto – i due fratelli Sanfilippo, Ninni e Michael, hanno iniziato a collaborare. A che pro due ragazzi, ancora più giovani del loro fratello Martino, dovrebbero rispettare la regola omertosa? Hanno, sì, dei vantaggi dalla collaborazione, ed è previsto dalla legge, ma le loro dichiarazioni non sono prese per oro colato: sono esaminate e riscontrate in dibattimento”.

Le dichiarazioni dei fratelli Sanfilippo in seguito sono riscontrate anche da quelle di Listro, del clan Cappello, e di Davide Agatino Scuderi. Su questo passaggio, il pm dice: “Si dirà che Scuderi ha dato dichiarazioni dopo aver sentito gli altri, ma valgono le regole sul riscontro nel processo delle dichiarazioni. C’è sempre questo doppio equivoco: se le dichiarazioni dei collaboratori coincidono, allora si dice che i soggetti si sono messi d’accordo; se non coincidono, allora si dice che sono in contraddizione e non sono utilizzabili”.

Le dichiarazioni spontanee

In questo contesto si inseriscono le dichiarazioni spontanee che più volte due imputati, Carmelo Distefano e Roberto Campisi, hanno voluto rendere nel conto del dibattimento. “Si tratta di alluvionali dichiarazioni spontanee – dice Fonzo – in cui sono stati prospettati accordi e complotti. Ma questa prospettazione non trova alcuna riprova documentale, testimoniale o altro. La valutazione dei collaboratori va fatta su base processuale, non sulla base di ipotesi di complotti. Se poi, come riteniamo, le dichiarazioni sono genuine, specificheremo rispetto a ogni singolo imputato come devono essere valutate”.


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