Quella di Francesco Armanno, investito sulle strisce pedonali, è una storia pronta ad essere letta e consumata nel volgere di qualche giorno, per essere presto dimenticata. Ed è questa la prima sensazione che si avverte entrando a casa Armanno: i riflettori si sono spenti o meglio, forse, non si sono mai accesi sul proprietario di questa casa in un angolo di Palermo dove la dimensione più rilassata, meno da città metropolitana, può prendere il sopravvento in comunione con Monte Pellegrino.
Solo in questa piccola abitazione di via Castellana Bandiera ci si riappropria di quello che è successo, del venir meno di un padre di famiglia, morto per avere attraversato la strada, investito a marzo scorso e spirato dopo parecchi mesi di agonia. Si riesce a capire la portata del lutto che ha colpito questa famiglia palermitana dalle borse degli occhi del nipote che ti viene ad aprire la porta, dalla moglie di Francesco distrutta dal dolore: la vedi in una stanza che non riesce nemmeno a reggersi in piedi e ti è chiaro, infine, soprattutto, dagli occhi del figlio Piero che si fa forza per non piangere, chiuso in una fiera corazza. Francesco Armanno, palermitano di sessantuno anni , si è spento domenica presso il reparto di rianimazione del Villa Sofia di Palermo. Da tre mesi dalla corsia di quel nosocomio lottava tra la vita e la morte dopo esser stato travolto da una macchina mentre attraversava la strada sulle strisce pedonali.
Quella sera di domenica ventuno marzo per lo “Zio Cicciu”, così come lo chiamavano affettuosamente tutti i clienti della polleria di piazza Leoni dove lavorava, era una sera normale di lavoro. Si stava recando a piedi in via Toscana per una consegna quando nei pressi di via Empedocle Restivo, una Fiat Panda l’ha investito. Lì proprio sulle strisce che consentono l’attraversamento pedonale.
L’autovettura di proprietà della Ksm, ad una prima ricostruzione, pare che viaggiasse contromano sulla corsia preferenziale, anche se sono ancora in corso le indagini condotte dalla sezione infortunistica dei vigili urbani. L’urto è stato tremendo e le condizioni dell’uomo sono apparse critiche già dal primo momento.
Per tre lunghi mesi Francesco Armanno si è mantenuto in uno stato di coma che ha lasciato ben poche speranze, fin quando, appunto, il suo cuore ha cessato di battere. Per i suoi familiari la fine di un calvario che per novanta infiniti giorni ha alimentato il dolore, una sofferenza che è diventata angoscia e disperazione , ora, che la vita del proprio caro non è più nemmeno sospesa ma ha trovato un epilogo.
Piero, l’unico figlio di Francesco, non vuole rilasciare interviste: è stanco, notevolmente provato, oggi ci sono stati i funerali, ma quando lo incontriamo, sollecitato a parlare del padre, si sfoga in una breve chiacchierata. “Mio padre – dice Piero – era una persona stimata e rispettata da tutti. Era cauto e stava sempre attento, non avrebbe mai attraversato la strada senza la dovuta accortezza. Anzi, la prudenza era una cosa che raccomandava a tutti e che faceva parte del suo modo di essere, di quel suo carattere mite, ponderato e di poche parole. Tutto questo però non l’ha salvato da una morte assurda”. Piero, tuttavia, non riesce a provare rabbia: “Nessuno esce da casa per uccidere”, dice. E dice ancora in un sussurro: “Il Signore mi ha insegnato a perdonare”.
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