PALERMO – Il presidente della Regione gioca tutto sul 46. E nel gruzzolo piazzato sopra il numero fatidico che consentirebbe l’approvazione della riforma delle Province, Crocetta e il suo governo ha posto gran parte della propria credibilità. Già, perché le Province erano state abolite. Almeno in televisione. Era stato annunciato un passo avanti radicale, rivoluzionario. In anticipo sul resto d’Italia. Ma dopo dieci mesi, è come se non si fosse andati avanti d’un passo. Anzi. È come se si fosse in qualche modo finiti un po’ indietro, rispetto al traguardo. Al punto che oggi in Aula Crocetta ha lanciato un appello ai deputati: “La mancata approvazione delle Province sarebbe una sconfitta per tutti”.
Ma per l’approvazione serve il quarantasei. Serve la maggioranza. E oggi, al di là delle dichiarazioni di facciata, una maggioranza non c’è. Un’intesa non esiste. E le trappole a Sala d’Ercole sembrano piazzate su diversi scranni. “Del resto – spiegava con sano realismo qualche giorno fa il presidente della prima Commissione Antonello Cracolici – quello dell’abolizione delle Province non è certo un tema popolare tra gli addetti ai lavori della politica”. Alla politica, l’abolizione dell’ente non piace. Inutile girarci attorno. “La Sicilia decida – ha rilanciato Crocetta – se vuole essere una Regione moderna o se vuole, invece, contiunare a foraggiare il sottobosco della politica”.
Dopo una lunga e faticosa gestazione, oggi il ddl sulle Province è arrivato a Sala d’Ercole. A pezzi. E stava già tornando indietro, dopo una richiesta di approfondimento in Commissione, avanzata da Santi Formica, poi rientrata, almeno fino a martedì prossimo. La riforma in realtà è composta da tre distinti disegni di legge (la riforma vera e propria, la gestione dei liberi consorzi e i casi di ineleggibilità). Ma sul primo, e fondamentale testo, le divisioni sono già macroscopiche. Quello esitato dalla prima Commissione, infatti, non è in diverse punti condiviso dal governo. Che probabilmente proverà a rilanciare in Aula. Cercando di imboccare la prima delle due strettoie attraverso le quali passerà o si incaglierà la riforma.
Si tratta del limite al numero dei Consorzi. Il ddl giunto in Aula, di fatto, prevede la presenza di nove enti oltre alle tre città metropolitane. Ma non è più un mistero che il presidente non gradisca questa limitazione. “Se sono liberi consorzi – ha spiegato infatti – non si possono piazzare paletti sul numero”. Ma i paletti, in questo caso, hanno la funzione di limitare la proliferazione selvaggia dei nuovi enti. “Fissando dei limiti minimi di popolazione – ha spiegato sempre Crocetta – di consorzi ne nascerebbero pochissimi”. Uno, su tutti. Quello che fa capo a Gela, la città del governatore. Ma su questo punto, quasi certamente Crocetta – se vuole davvero centrare l”obiettivo 46′ – dovrà desistere. Oltre a buona parte del Pd, infatti, anche le opposizioni sono per la riproposizione, di fatto, dei limiti delle attuali Province.
La seconda strettoia è quella che porta all’elezione del presidente del libero consorzio. E sul punto, l’opposizione non si muove di un passo. Anzi, ha lanciato una proposta che suona quasi come una provocazione: “Se il presidente Crocetta cerca ‘una intesa molto larga e istituzionale’ – ha detto Nello Musumeci – noi dell’opposizione siamo disponibili a trovarla con la maggioranza. Ma su alcuni punti non trattiamo. Non volete più chiamarle Province regionali? Volete chiamarli Liberi consorzi dei Comuni? Per noi – ha aggiunto il deputato – è marginale: ma sulla elezione diretta del presidente dell’ente intermedio non si può assolutamente tornare indietro”. “Pensavamo – ha detto Marco Falcone (Forza Italia) che ci trovassimo di fronte ad un governo privo della bussola e, invece, ci accorgiamo che siamo dinanzi ad un esecutivo in assoluto stato confusionale, anche oggi, infatti, sulla legge di riforma delle province, paradossalmente si arriva in aula non con un solo disegno di legge, ma con ben quattro testi, segno evidente di un profondo smarrimento e di imbarazzante incertezza”.
Se vuole i voti del centrodestra, insomma, Crocetta dovrà chinare il capo su questo punto. Mentre anche il Movimento cinque stelle è tutto fuorché entusiasta e ha definito un “brodino” il testo giunto a Sala d’Ercole. Ma il malcontento riguarda anche pezzi di maggioranza. Il deputato democratico Panepinto, infatti, ha chiesto – la proposta è stata bocciata in Commissione, ma il tema tornerà a rimbalzare in Aula – che, riguardo alle modalità di scelta del presidente, i siciliani vengano consultati attraverso un referendum. Mentre l’Udc da mesi critica quella che appare come una “non riforma”. E certamente, questo è il momento peggiore nella storia dei rapporti tra Crocetta e i centristi.
Come trovare quindi il fatidico 46 quindi? Come trovare una maggioranza che possa garantire l’ok definitivo alla riforma? “Non possiamo essere gli ultimi sostenitori – ha ribadito in Aula Crocetta – di una battaglia che nel Paese non trova più riscontro e che non ha l’adesione delle istituzioni nazionali. La nostra autonomia speciale deve essere invocata per anticipare i processi di riforma istituzionale nazionale, non per rappresentare l’ ultima trincea della conservazione”.
Ma l’avvertimento a Crocetta è arrivato già a dicembre, quando il voto segreto ha affossato la proroga dei Commissario. Quel giorno, il “46” non è uscito. E il governo è andato sotto clamorosamente. Un fatto che dovrebbe consigliare Crocetta a rinunciare a gran parte delle rivoluzionarie tesi su questa riforma. Che per passare dalle due strettoie, dovrà necessariamente trasformarsi in una riformina. In caso contrario, la figuraccia sarebbe storica. “Credo – ha detto in effetti oggi Antonello Cracolici – che l’eventuale, mancata approvazione della riforma potrebbe avere effetti non solo sulla tenuta del governo”. Come dire: sulle Province si rischia tutto. Tutto sul 46. Sia la credibilità del governo rivoluzionario che dovrà rinunciare a un po’ di rivoluzione. Sia, persino, la prosecuzione della legislatura.