PALERMO – I mafiosi sono in mezzo a noi. Si danno appuntamento “dal barbiere” o “dal fruttivendolo”. In una normalità solo apparente discutono le faccende di Cosa nostra. Tirano fuori un fucile dal bagagliaio di una macchina come se nulla fosse.
La storia non gli ha insegnato che hanno di fronte investigatori capaci di mimetizzarsi fra la gente. O, più semplicemente, non hanno alternativa ad incontrarsi. E allora è in mezzo alla gente che provano a nascondersi. Non serve. I carabinieri del Ros, del Gruppo di Monreale e del Comando provinciale piazzano telecamera ovunque. Salgono sui tralicci fingendosi operatori di mille mestieri. Impossibile riconoscerli tutti. Qualche telecamera viene scoperta e distrutta. La stragrande maggioranza resta accesa.
Ed eccoli, dunque, i boss di Santa Maria di Gesù e San Giuseppe Jato che si incontrano in un deposito di marmi in via Aloi. Non uno qualunque, ma lo stesso che negli anni Novanta era la stazione di posta per i messaggi di Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca. Altre volte i luoghi sono ancora più anonimi. Un negozio di frutta e verdura in via Villagrazia, una macelleria in via Altofonte oppure una sala da barba in via Vittorio Emanuele a San Giuseppe Jato. Gli scatti diventano la testimonianza delle frequentazioni. Accoppiate alle conversazioni intercettate costituiscono l’ossatura delle ordinanze di custodia cautelare che hanno raggiunto sessantadue persone.