19 Giugno 2020, 06:10
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Il dem Antonello Cracolici l’ha chiamata una “legge liberticida”. Il suo capogruppo Giuseppe Lupo ha commentato che “il governo Musumeci dimostra disprezzo per gli assetti democratici”. Pippo Zappulla, segretario dei bersaniani in Sicilia, dice che “non si può spacciare per semplificazione burocratica lo smantellamento di qualsiasi regola”, parlando di “vero far west”. La pietra dello scandalo sta nella legge sulla semplificazione amministrativa, votata da centrodestra e renziani (o viceversa) all’Ars, una norma che assegna pieni poteri al governo regionale, anche quelli di superare le leggi dell’Ars in caso di emergenze. “Emergenze autodichiarate”, aggiunge Cracolici, secondo il quale così passa un “principio pericolosissimo”. Il giorno dopo anche i grillini dell’Ars hanno detto la loro: “Da ieri abbiamo la prima monarchia regionale al mondo. Che Dio ce la mandi buona”.
Tutte accuse rispedite al mittente dal capogruppo del movimento di Diventerà Bellissima, Alessandro Aricò e dall’assessore Berandette Grasso. Lo stesso emendamento che prevede qualcosa di simile ai “pieni poteri” di salviniana memoria per Palazzo d’Orleans nella relazione di accompagnamento faceva riferimento a norme simili della Regione Puglia, governata da anni dal centrosinistra. Ma le opposizioni hanno voluto rimarcare il tema del Musumeci aspirante “uomo forte” (i poteri che la nuova legge riconosce alla giunta regionale sono in effetti senza precedenti), inserendolo in una più vasta campagna comunicativa, quella della narrazione di una svolta marcatamente di destra della stagione del presidente della Regione e della sua coalizione.
E in questo senso, al di là della valutazione sulla norma votata dall’Ars che ha fatto storcere il naso anche agli alleati popolari e autonomisti di Musumeci, qualche freccia all’arco delle sinistre c’è. L’ingresso in giunta della Lega ha indubbiamente spostato più verso destra la bilancia della coalizione. In cui i centristi hanno manifestato in alcune occasioni, seppur senza troppo clamore, una certa insofferenza. Ma d’altronde, il centrodestra è mutato a livello nazionale e la Sicilia non poteva non risentirne. Nei sondaggi nazionali la presenza dei moderati nella coalizione è ormai minoritaria rispetto ai due soci sovranisti della coalizione, Lega e Fdi. Il centrodestra di un tempo oggi è diventato un Destra-centro.
La nomina ad assessore di Alberto Samonà, collega gentiluomo del quale è però emerso uno stillicidio di precedenti prese di posizione e boutade di ultradestra, ha fatto il resto, offrendo alle opposizioni la possibilità di un lavorio ai fianchi del governo dal punto di vista mediatico. Da Fava a Lupo, gli oppositori del governatore hanno chiesto a Musumeci di dire una parola sul tema, che ancora si attende.
Inoltre, adesso, il Carroccio sembrerebbe aver rotto gli indugi su un patto federativo con movimenti locali e si sa che in Diventerà bellissima Ruggero Razza auspica uno scenario di questo tipo da tempo: il percorso potrebbe saldare ancor di più Musumeci a Salvini, disinnescando eventuali piani alternativi di terzi in vista della sua ricandidatura. Il condizionale è però d’obbligo. Solo pochi giorni fa, infatti, il governatore ha detto in tv senza giri di parole: “La Lega non è il mio partito e Salvini non è il mio leader”. Insomma, il fidanzamento politico, già rinviato più volte, è tutt’altro che fatto (non ci sono del resto in vista elezioni dal profilo politico a mettere fretta ai musumeciani).
In passato schermaglie dialettiche dell’opposizione sul tema della pendenza accentuata verso destra c’erano state, ad esempio quando la giunta aveva stanziato un maxi-finanziamento per recuperare i borghi rurali fascisti (per la verità un vecchio pallino, dichiarato, di Musumeci) e quando l’assessore di Fratelli d’Italia Manlio Messina aveva chiesto ai teatri siciliani di ricordare la tragedia delle Foibe, che però, non è superfluo ribadirlo, è una tragedia nazionale prima che un tema caro alle destre. Il caso di Samonà e la vicenda dei “pieni poteri” al “governatore-monarca” hanno riacceso la miccia del conflitto ideologico, o per lo meno della retorica destra-sinistra.
Che Nello Musumeci sia uomo di destra-destra lo racconta la sua storia. Che da qualche mese si stia muovendo con più decisione sull’immagine di “uomo-forte”, è un fatto che da un punto di vista comunicativo è quasi incontrovertibile. Presidente e giunta hanno alzato i toni in maniera plateale su dossier come Anas e Alitalia, assumendo una posizione di conflitto estremo nelle dichiarazioni pubbliche con il governo giallorosso. Sopra le righe anche la sfuriata di Musumeci in Aula contro il voto segreto, con quell’accenno al tintinnar di manette verso un avversario politico, giusto a breve distanza dall’infelice meme con il premier Conte in ceppi pubblicato dal suo assessore (di destra). Un repertorio che ha riportato alla memoria certe intemperanze missine legate ad altre epoche, per fortuna distanti.
Accanto ai comunicati di fuoco e alle ospitate televisive con una comunicazione dal sapore vagamente liderista, però, Musumeci fin qui ha affiancato anche un più ragionevole lavoro diplomatico romano (insufficiente secondo gli oppositori) sul fronte degli incontri ufficiali e della collaborazione istituzionale, come nel caso del recente vertice con i ministri De Micheli e Provenzano. L’emergenza economica senza precedenti impone un lavoro di squadra fra Stato e Regione, il governatore lo sa bene. Musumeci non è Salvini, la sua cifra personale è diversa e così il suo ruolo.
I sondaggi sul gradimento dei siciliani nelle ultime settimane hanno molto premiato il presidente per il positivo andamento dell’emergenza sanitaria nell’Isola. Il puntello che il centrodestra spera di avere trovato all’Ars con la scissione tra i grillini potrebbe ulteriormente rafforzare Palazzo d’Orleans. Le opposizioni hanno fiutato l’aria e attaccano ormai con maggiore vigore e con cadenza quotidiana Musumeci e il suo governo. Che però, ieri come oggi, dovrà guardare prima di tutto dentro i confini della propria variegata e irrequieta coalizione per schivare trappole insidiose, quelle che si materializzano negli incubi del presidente sotto forma di voto segreto. Tanto più se la svolta a destra e gli slanci lideristi di cui parlano le opposizioni alla lunga dovessero irrigidire oltre misura gli alleati moderati, seppur deboli e frammentati. Per una parte dei quali però la destra siciliana già si attrezza a far spazio nel buon vecchio nome del sicilianismo.
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19 Giugno 2020, 06:10