Più di un impiegato su cinque nei circa 500 Centri per l’impiego d’Italia lavora in Sicilia. Fino a pochi anni fa, il numero dei formatori dell’Isola era pari alla somma dei “colleghi” sparsi in tutta la Penisola. Un quarto dei dirigenti di tutte le Regioni italiane, è nei ruoli della Regione siciliana. La somma di questi record? Un altro record: quello della disoccupazione, che ha superato il 23 per cento. È il paradosso del lavoro in Sicilia.
Una storia fatta di storie che non hanno davvero un senso, a guardar bene. Qui, nell’Isola dove la “creazione del lavoro” è stata interpreta come la creazione di “posti di lavoro” che in qualche caso prescindevano dal lavoro. E in qualche altro caso, il più incredibile, nascevano proprio per aiutare a trovarlo, il lavoro. Una “mossa” tutta sicula. La storia di un fallimento storico.
I numeri sugli addetti dei Centri per l’impiego siciliani sono chiari e fotografano la prima assurdità: sono 1.737 su 7.934 operatori italiani. Eppure, ecco che proprio sul teatro di questi disastrati ex uffici di collocamento che non collocano quasi nessuno, in Sicilia rischia di nascere persino una nuova guerra tra ‘lavoratori’: l’eventuale arrivo degli ex sportellisti, infatti, preoccupa chi quel posto ce l’ha già. I sindacati sono già scesi sul piede di guerra. Quasi a dire: siamo già tanti, non possiamo diventare tantissimi.
E in effetti, la vicenda degli ex sportellisti, una volta circa 1.800 oggi un po’ di meno, rappresenta il ponte che lega il mondo del lavoro e quello della Formazione professionale in Sicilia. Da lì, di fatto, provengono: cioè dagli enti privati che anni fa facevano anche attività di orientamento. Componevano, insomma, quel “bacino” di addetti alla Formazione professionale siciliana diventato un giacimento d’oro per i politici. Si pensi, ad esempio, che il numero complessivo di questi lavoratori aveva toccato quota ottomila. Lo stesso numero di tutti gli altri Formatori sparsi per lo Stivale, come spiegò qualche anno fa un report dell’Università di Palermo, che verificò un dato che racconta molto più di quanto facciano trattati e inchieste: il picco delle assunzioni? Fu nel 2006 e nel 2008. Casualità: proprio gli anni in cui si svolsero due campagne elettorali per la Regione.
E anche qui, adesso, in quel mondo della Formazione che ha finito per formare in molti casi futuri disoccupati pronti a rimpolpare la pattuglia del 23 per cento, si profila una nuova guerra tra precari: tra i vecchi lavoratori e i nuovi che si aggiungerebbero ai vecchi, mentre gli stessi vecchi non svanivano nel nulla, ma restavano in molti casi intrappolati nel limbo di uno dei tanti “albi della speranza”. Un elenco di uomini e donne che non sono ne’ del tutto lavoratori, ne’ del tutto disoccupati.
Si dirà: non possono essere mica i centri per l’impiego o gli enti di Formazione a creare lavoro. E l’obiezione regge ovviamente fino a un certo punto, di fronte ai numeri di cui si parlava. Ma in parte è anche vero: la “fuga” di un numero sempre maggiore di siciliani dalla Sicilia alla ricerca di una paga è frutto di tanti elementi che affondano anche nel modo col quale da anni la Regione gestisce l’unica vera ricchezza rimasta a disposizione delle amministrazioni locali. Quei fondi europei per i paesi più in difficoltà (compresa l’Italia, quindi la Sicilia) e quei fondi non a caso denominati “per lo sviluppo e la coesione”. Lì, il paradosso tutto siciliano del lavoro raggiunge vette imbarazzanti. Nell’Isola dove le imprese non riescono a stare su e dove servirebbe qualche cantiere per rimettere in giro (e nelle tasche dei siciliani) un po’ di soldi, i Fondi europei non vengono spesi, o vengono spesi malissimo, e lentamente.
Eppure, sottolinea ogni anno la Corte dei conti, non c’è Regione con tanti dirigenti come la Sicilia, né amministrazione regionale che possa contare su quasi 15 mila dipendenti di ruolo (oltre ai circa settemila distribuiti nelle varie società partecipate regionali). Ma eccolo il paradosso nei paradossi: proprio nella spesa che ci proietta in un discorso “globale”, continentale, quello dei fondi distribuiti da quell’Europa che tra tanti difetti ha almeno il pregio di aver buttato giù un po’ di frontiere, i Regionali non possono muoversi più lontano di cinquanta chilometri. Tutti quelli che sono distanti da Palermo un chilometro in più, non possono venire a dar man forte agli uffici degli assessorati, come denunciato dal governatore Musumeci non molti giorni fa. Se si aggiunge poi che lo stesso governo ha messo nero su bianco in una delibera di giunta l’arretratezza delle competenze – anche quelle tecnologiche – degli stessi lavoratori, c’è poco da stare sereni. E così, l’altro paradosso: la Regione che ha più dipendenti di tutti, deve andare a cercarne fuori: da Invitalia, dal Formez, dalle società regionali, persino nelle università alle quali chiedere qualche volenteroso stagista: nella speranza che almeno quelli siano “tecnologicamente pronti”. Anche perché, il dato che emerge dall’ultimo report è piuttosto chiaro: i Regionali che hanno meno di 40 anni rappresentano solo l’un per cento della forza lavoro regionale.
Per questi cento, centocinquanta futuri stagisti, quindi, ecco comunque un’occasione buona per mettere un piede dentro gli uffici, che poi non si sa mai. Per tanti altri coetanei, invece, il futuro è meno “stimolante”. E in qualche caso la più concreta delle possibilità diventa quel reddito di cittadinanza che non va demonizzato, per carità, ma che in Sicilia più che in altre parti d’Italia rischia di avere effetti distorti. Nell’Isola nella quale solo altissimi, nello stesso tempo, il lavoro nero e la penuria di ispettori del lavoro, il pericolo di favorire tanti furbetti è dietro l’angolo. Ma al di là dei pensieri maliziosi, ancora una volta il paradosso è nei numeri. Quelli candidamente rappresentati dal responsabile del Centro per l’impiego di Palermo Felice Crescente. Nella Regione senza un lavoro da offrire, tanto da spingere migliaia di giovani siciliani a fuggire, i “nuovi” centri dell’impiego dovrebbero infatti, in Sicilia, offrire fino a tre proposte di lavoro a un flusso di persone che dovrebbero presentarsi agli sportelli dei Cpi, nella sola Palermo, al ritmo di 250 unità al giorno. Col rischio che vengano semplicemente e in molti casi inutilmente caricati di lavoro coloro i quali dovrebbero cercare un lavoro per gli altri. L’inizio della solita storia.