L’idea – in via Azolino Hazon, cuore della Brancaccio letteraria, irredenta e magra di stenti – è venuta a Totò, che di mestiere fa il tassista su un mototaxi. Totò non è ricco, non lo è sicuramente nel portafoglio, diciamo che è abbondante di cuore. Una sera, lui e sua moglie, davanti alle scene del terremoto d’Abruzzo, si sono messi a piangere e non la smettevano più. Vedevano le bare bianche dei bambini. I giocattoli, come una guida gentile, sui coperchi candidi. Vedevano genitori accartocciati, abbarbicati, incapaci di staccarsi dall’ultimo riparo dei figli piccoli. Vedevano, piangevano e ripensavano al loro bambino, morto dopo il parto. Un figlio inghiottito da un terremoto privato. Totò è un uomo pratico e si è deciso. Si è asciugato le lacrime e ha cominciato a “tuppuliare”, a bussare per le porte di Brancaccio. Ha cominciato a percorrere – spiega – “scaluna e scaluna”. Ha iniziato da casa sua, in via Azolino Hazon, un simbolo. Qui don Pino Puglisi combatté molte delle sue battaglie. Qui abitavano due uomini scannati come agnelli in piazza a Borgo Vecchio, nel ventre di Palermo. “Ho perso un figlio – dice Totò – posso capire le persone in Abruzzo, capisco cosa provano i genitori”. Piano, piano, dolcemente, Totò e sua moglie hanno raccolto una somma discreta che spediranno sulla via dei soccorsi e degli aiuti. Lui si asciuga un’altra volta le lacrime, tentando di non farsi scoprire, e dice: “Mi pare di essere più vicino a mio figlio, al bambino che non c’è più”. Oggi, se sali sul suo mototaxi, paghi uguale. Ma un euro va agli abruzzesi. Ai genitori che non hanno smesso di piangere sui corpi dei figli.
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