PALERMO– Povero e vecchio cuore rosanero, come sanguini. Chi si improvvisava economista ai tempi dell’annunciato closing con Baccaglini, adesso sfoglia manuali di giurisprudenza, di regolamenti, di leggine, di commi, in un frangente complicato da mettere a fuoco.
Tutto, a Palermo, è calcio, tranne il pallone che rotola sul prato con la sua felicità. Tutto è intrico, labirinto, muro contro cui la passione sbatte per risvegliarsi intontita in uno sprofondo di dubbi. Le voci van veloci. Quale sarà il futuro della maglia nelle tempeste che affiorano dal bordo dei giornali? I pareri si sprecano. E tutti dicono di avere ragione. C’è pure chi paventa – Dio non voglia! – una futuribile scomparsa, che sarebbe come scippare il sorriso a una città che ha già pochissimi motivi per sorridere. Ammesso che ne abbia.
L’attore Marco Feo ha conservato l’album di un funerale sportivo dell’Ottantasei, nell’anno della radiazione. I tifosi si riunirono per un cammino addolorato con la bara e camminarono per le strade, annunciando la tragica notizia.
Ora Marco esorcizza: “Certo che ho paura. La mia più grande paura è rivivere, ad esempio, lo spareggio, perso, per non retrocedere in serie C2 con la Battipagliese. La mia più grande paura è quella che le nuove generazioni siano piene di tifosi ‘strisciati’. Non voglio partecipare a un altro corteo funebre”. Negli scatti, corredati da alcune didascalie, si annota una tragedia che solo i superficiali potrebbero considerare minore. Si avverte il respiro faticoso di una storia che ha conosciuto passi incerti, cadute, risalite.
Fabrizio Micari, rettore dell’Università di Palermo, quei giorni li ricorda benissimo, incisi nella carne da curva e da bandiera: “Rivivo un incubo e non lo vorrei vedere di nuovo alle porte. Onestamente, sono molto in pensiero per quello che leggo. Ma, come accade in tutti i rapporti amorosi, c’è sempre la speranza”.
Infatti, il giornalista Alessandro Amato ha scritto sulla sua pagina facebook: “Noi, adesso, possiamo solo guardare, sperare e tifare…”. Che sarebbe come una preghiera a mani giunte dopo l’acchianata: “Santuzza, pensaci tu”. E aggiunge: “Sono preoccupatissimo. Le istituzioni calcistiche continuano a esprimere grandi perplessità. I fatti, però, mi sembrano diversi da quelli della radiazione dell’Ottantasei. Lì arrivò una botta inaspettata. Ora mi pare che siamo coscienti del rischio”.
Mentre lo scrittore Davide Enia allontana da sé l’amaro calice: “L’ho detto subito. Mi prendo un anno sabbatico per il campionato. Perché? Come perché? Perché mi sono rotto…”. I necessari puntini di sospensione attenuano ma non nascondono l’entità della rottura. In giro, sui social, nei bar, per la strada, si raccolgono le copiose occhiaie di chi ha il cuore infranto per la gloriosa maglia rosanero. Quanti sono? Pochi, tanti? Sono quelli che ci credono, che, in un pallone che rotola, conservano la porzione migliore, la più innocente. Quelli che non hanno mai staccato la radiolina dall’orecchio. Quelli che, giustamente, adoravano Paolo Valenti, Luigi Necco e sobbalzavano dalla sedia ogni volta che Guido Monastra gridava. “Gooooooooooooooooolllllllllll!”.
Ancora su Facebook, il giornalista e scrittore Benvenuto Caminiti, cantore di un’epica, ha scritto: “Sono diventato qui il tifoso che sono in Curva Nord, quando, a solo guardarla, agli avversari tremavano le gambe. Erano gli anni settanta, quelli di Vicè u pazzu (e del suo variopinto magnifico “Clan”) per lo più vissuti tra serie B e serie C, in un saliscendi estenuante. Io tifavo Palermo già dalla prima infanzia (…). E allora, mi si stringe il cuore al punto che non mi resta che levare verso l’Alto una preghiera, che comincia e finisce così: ‘Per favore lasciatemi almeno i ricordi’”.
Chissà. Forse esiste, in qualche cielo sconosciuto, un Dio misericordioso del pallone con la faccia di Paolo Valenti per vegliare sui sogni di coloro che si ostinano a rimanere bambini. Ma come sanguini tu, povero cuore invecchiato.