Almeno duecento persone hanno partecipato stamani, nella chiesa della Madonna, ai funerali di Maria Anastasi, la donna di 39 anni, madre di tre figli e incinta al nono mese, uccisa e data alle fiamme mercoledì scorso nelle campagne di Trapani. Due gli indagati: il marito, Salvatore Savalli e l’amante di questi, Giovanna Purpura, entrambi in stato di fermo. Anche il procuratore di Trapani Marcello Viola, oltre a carabinieri impegnati nelle indagini, sono andati ad esprimere le condoglianze ai familiari della vittima. Durante l’omelia, padre Nicolò Stellino ha ricordato che “la famiglia di oggi è oggetto di grande violenza ed è indifesa. La chiesa diventa rifugio e luogo di sicurezza. Se avessi saputo sarei intervenuto prima”.
L’amministratore apostolico di Trapani, arcivescovo Alessandro Plotti, ha fatto pervenire un messaggio ai familiari della vittima, sottolineando che”purtroppo siamo davanti ad un evento drammatico, ad una plateale violazione di ogni scintilla di umanità, dove ancora una volta è una donna a pagare una cultura maschilista, violenta e criminosa”. Non sono mancati momenti di commozione durante l’orazione funebre, come pure alla fine, quando le due figlie di Maria Anastasi – rispettivamente di 16 e 17 anni – sono andate ad abbracciare un brigadiere dei carabinieri, il primo a raccogliere elementi per avviare le indagini. Un applauso ha accompagnato il feretro all’uscita dalla chiesa.
Le indagini e le accuse reciproche
Continuano ad accusarsi a vicenda di un crimine orribile che, secondo i magistrati, avrebbero commesso insieme. Insieme Salvatore Savalli e Giovanna Purpura avrebbero assassinato a colpi di vanga la moglie dell’uomo, Maria Anastasi, incinta al nono mese uccisa e bruciata nelle campagne di Trapani. Dopo il fermo di Savalli, finito in carcere giovedì notte, al termine di un lunghissimo interrogatorio, è toccato alla donna, l’amante che aveva imposto a casa e che l’avrebbe aiutato a eliminare la vittima. Un provvedimento, quello disposto dalla Procura di Trapani, deciso non solo per la gravità del delitto, ma anche per il rischio concreto che la Purpura, che prima della convivenza non aveva una abitazione fissa ed aveva trascorso diverso tempo in una comunità, potesse lasciare la città per evitare le manette.
Per mesi inseparabili, i due amanti, arrivati ad imporre alla vittima e ai suoi tre figli una convivenza molto tesa, cercano di evitare l’ergastolo addossando l’uno sull’altra la colpa del delitto. Su una cosa sola i loro racconti convergono: il pomeriggio di martedì scorso marito, moglie e amante sono usciti per comprare un decoder. Poi in macchina sono andati in campagna. “Scese dall’auto la Purpura ha colpito mia moglie alla testa con una vanga che avevamo”, dice Savalli che sostiene di non essere riuscito a fermare l’amante. Ma il racconto non convince i pm visto che la donna è stata ferita da una decina di colpi al cranio e quindi il marito sarebbe potuto intervenire. Purpura, invece, sostiene che da giorni l’amante le ripeteva che aveva un piano per assassinare la moglie e che lei, invano, aveva tentato di fermarlo. Il giorno del delitto Savalli sarebbe sceso dall’auto con la moglie e l’avrebbe uccisa spaccandole la testa: la Purpura sotto choc non sarebbe riuscita a fermarlo. Anche le parole della donna lasciano dubbi agli inquirenti: perché andare in campagna coi due, si chiedono, sapendo quali erano le intenzioni del marito?