15 Maggio 2009, 06:41
3 min di lettura
Agostino Pizzuto, l’amante dei fiori, il presunto mafioso che sotterrava le armi di Cosa nostra a Villa Malfitano. Le piante erano sue amiche fidate. Erano alberi d’onore. E lui, “Mastro Agostino”, rilasciava interviste sul vero flagello di questi tempi. No, non la mafia. Il punteruolo rosso. Mastro Agostino assurge ai fasti della celebrità sul Corriere del 5 marzo scorso. Mica uno qualunque. Uno che aveva curato e guarito 180 palme. Ecco il suo verbo floreale: “Dicono che non c’è alternativa, che bisogna abbattere le palme malate. Ma provate a prevenire e curare come facciamo noi”. Poi, i pm – che sono avvezzi a badare al sodo ben oltre la corteccia – scrivono: “Veniva inoltre ribadito che le armi erano state sotterrate presso ‘la Villa’, ovvero Villa Malfitano ove il Pizzuto presta attività di giardiniere per conto della fondazione Whitaker”. Incolpevole, ovviamente, il “Corriere”, perché nessuno, nemmeno un rabdomante, avrebbe annusato la presenza di una Santa Barbara tra i gentili e poetici palmizi.
Dall’ordinanza emerge una dovizia di particolari su mastro fioraio. Perché è finito nei guai, nel tritacarne dell’operazione “Eos” “PizzutoAgostino”, come viene nominato nelle carte dell’inchiesta?. La risposta letterale: “Per avere fatto parte del gruppo mafioso operante a Pallavicino e facente capo a Vincenzo Troia nonché di quello nell’ambito territoriale della famiglia di Resuttana, partecipando alla gestione dei relativi affari illeciti, mantenendo a tal fine continui contatti, anche di natura epistolare, con i soggetti indicati in questo capo, occupandosi della perpetrazione delle estorsioni e del sostentamento degli esponenti mafiosi detenuti, anche mediante condotte di scambio elettorale politico-mafioso, dell’organizzazione dei traffici di stupefacenti, nonché della custodia di numerose e potenti armi da sparo e prefigurandone il loro impiego per l’eliminazione degli esponenti mafiosi avversari”. Insomma, uno organico all’associazione. Un uomo che non passava inosservato anche per l’aspetto fisico e per la grande zazzera. Lo chiamavano “Basettone”, due mafiosi che non l’amavano, come Vincenzo Troia e Nino Caruso, parlandone a proposito del famoso arsenale di cui Pizzuto si sarebbe disfatto (in realtà era una bugia, concordata col cognato, Carmelo Militano). Ecco l’intercettazione. Troia: “Poi e’ venuto, piglia e gliele ha consegnate. Ma almeno fai avere le consegne a lui … poi le sei andate a buttare perchè si spaventava …… sei un cornuto ! perché se tu hai paura vieni da me e mi dici …”. Caruso: “Non li posso tenere”. Troia: “Compare, Zio Vice’….. non li posso tenere perché alla villa non può essere più per questo e per quell’altro ….va bene. Dammele e io so dove devo andarle a sotterrare”.
Scrivono i pm: “Si comprende che con chiarezza che il Troia imputa al ‘basettone’ di aver alienato ciò che egli stesso definiva ‘un grosso arsenale’ di armi da guerra, munizioni ed oggetti vari, quali giubbotti antiproiettile, di cui l’anziano mafioso menzionava alcuni specifici pezzi. L’arsenale, infatti, era di una terza persona che non veniva meglio specificata (nascosto a Villa Malfitano, ndr). Si comprende che al Troia era stato falsamente riferito – cosi come avevano concordato Pizzuto e Militano – che le armi erano state gettate in mare”. Invece, la Santa Barbara era custodita nel silenzio di una villa patrizia da un signore dall’aspetto ottocentesco, riconoscibile per le zazzere sul viso. Noto come “Cavour”, o, più mafiosamente, come “Basettone”.
Pubblicato il
15 Maggio 2009, 06:41