A otto anni dalla morte di Francesco, mi è stato chiesto di rinnovare il suo ricordo. Un compito, lo ammetto, che è dolce e terribile. Dolce, perché l’occasione, sebbene si tratti di un anniversario funesto, ti accompagna sempre indietro nel tempo, a giorni bellissimi, quando lui c’era. Terribile, perché nessuna parola è mai giusta, nemmeno queste che sto buttando giù: sono sempre ‘troppo’, o ‘troppo poco’, sono sempre eccessive eppure insufficienti, sono il segno di uno dei nostri limiti più evidenti, un limite invalicabile, persino per noi che scriviamo per lavoro: le parole non renderanno mai del tutto l’idea, la sensazione, il ricordo, appunto.
Forse anche per questo, per quel limite di cui si parla, quando mi è stato domandato se avessi voglia di buttare giù queste parole inutili, mi sono chiesto: “Perché io?”. E non c’è niente di tragico, niente di drammatico in questa domanda. C’era un dubbio prosaico, terra terra, vale a dire: “Perché devo essere io, che da un po’ non lavoro più nel suo giornale?”.
E allora mi sono consolato – consapevole dell’artificiosità del ragionamento – dicendomi che, in fondo, un po’ di Francesco è anche fuori da questo giornale. Intendiamoci: è lì che il suo cuore continua a pulsare, è in quelle pagine, in quegli articoli che Francesco lascia ancora un segno, è nel gesto di tanti lettori che cliccano su LiveSicilia, e in quelli che leggono I Love Sicilia e S che il nostro direttore torna tra noi. È nel lavoro di Roberto e Riccardo, Antonio, Salvo e Roberto, miei colleghi per tanti anni. E di Donata, ovviamente, con un significato in più.
Eppure – ecco che sto ancora ingannando me stesso – credo che Francesco sia anche altrove. C’è un po’ di quello che sapeva, che ha insegnato, di cui è stato ispiratore e modello, anche in chi si è allontanato un po’ da casa. Penso a Salvo e a Claudio, a Eliana, a Miriam e ad Andrea e a tanti altri colleghi che dimentico colpevolmente, anche quei colleghi che avevano imparato da lui nella precedente “vita professionale”, prima della nascita di Novantacento e Livesicilia.
C’è un po’ di Francesco nel lavoro quotidiano di tutti noi. Non chiamiamola “scuola”, per carità, il primo a inorridire sarebbe stato proprio lui. Ma di sicuro, qualche frutto è rotolato anche lontano da quell’albero. È in giro. Francesco è ancora in giro. Nelle esperienze assai meno qualificate di chi ha imparato da lui possedendo diversa indole, diverso temperamento e – che lo scrivo a fare? – diversa qualità.
Ma Francesco, a otto anni di distanza, è anche in altri luoghi. L’ho registrato decine di volte, in questo lungo periodo senza di lui. È un’immagine netta nel ricordo degli amici, di chi gli ha voluto bene, a prescindere dai giornali. Francesco, chissà come mai, non si dissolve, non sbiadisce nel pensiero di chi l’ha conosciuto. Di chi ha conosciuto i suoi spigoli e le sue genialate, i suoi rimproveri e la sua stima.
Gli amici e tutti coloro che vorranno, quest’anno potranno ricordare Francesco Foresta a messa, alle 18 di oggi, nella Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, in via Bentivegna, a Palermo.