Gli stavano dietro da quindici anni. Lo hanno seguito passo passo, cercandolo persino in un monastero, fiutando le orme della moglie che, al ripetersi di ogni estate, beffava inquirenti e magistrati, e spariva nel nulla. Proprio come il marito. E’ finita la latitanza di Domenico Raccuglia, uno dei boss più sanguinari che aveva raccolto l’eredità stragista di Cosa Nostra. Uno che aveva stabilito nell’asse con Matteo Messina Denaro la possibile svolta per le nuove strategie mafiose. E proprio nel feudo del latitante numero uno, in un casolare di Calatafimi, in piena provincia trapanese, è stato catturato. Onore ai ragazzi della Catturandi che, immaginiamo, hanno sacrificato affetti e non solo per stare alle calcagna del boss. Come avevano fatto con i Lo Piccolo, Salvatore e Sandro,due anni e qualche giorno fa. Ragazzi che rischiano la vita per meno di 1500 euro al mese, che fanno del lavoro di squadra e del reciproco rispetto l’arma in più, che hanno un senso dello Stato e della lealtà che in questi giorni dovrebbe far riflettere. E’ una buona notizia l’arresto di Raccuglia. Che arriva alla vigilia di una settimana cruciale per le sorti dell’Isola. Tra imboscate e tradimenti, veleni e sospetti, i politici nostrani vorranno dimostrare chi è più forte, chi comanda. Si sbeffeggiano offendendosi pestando sotto i piedi la dignità, la politica con la maiuscola. Ci risparmino, ora, i comunicati esaltanti sulla “fermezza dello Stato” o altre menate simili. Stiano zitti. Anche domani e dopodomani. Ad esaltare col loro silenzio quanti, invece, fanno giornalmente il loro dovere.
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