PALERMO – Messo alla porta della società grazie alle indagini patrimoniali, poi sarebbe rientrato dalla finestra nella gestione della “Antica caffetteria Santa Rosalia” di Villabate. Non è una caffetteria qualunque visto che negli anni Novanta ha ospitato summit di mafia ed era pure la stazione di posta di Bernardo Provenzano, durante la latitanza del padrino corleonese. Si tratta di uno dei capitoli dell’inchiesta della Procura di Palermo, sfociata stamani in dieci arresti.
“Così ha aggirato la confisca”
Una parte dell’attività commerciale apparteneva a Nicolò Rizzo, già condannato per mafia. Sarebbe stato quest’ultimo a tornare interamente alla guida del bar. Contestualmente agli arresti il giudice per le indagini preliminari Antonella Consiglio ha disposto il sequestro preventivo dell’attività commerciale che ha sede in piazza Figurella a Villabate.
Rizzo non fu solo condannato per mafia. La sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo gli confiscò il 50% della società che gestiva la caffetteria. L’altra metà era di Vincenzo Di Salvo. Le nuove indagini avrebbero fatto emergere che Rizzo avrebbe aggirato la confisca.
La nuova società
A partire dal giugno 2018 negli stessi locali risulta avere sede una nuova società intestata ai figli di Di Salvo e Rizzo, che sono arrivati ai ferri corti. “Io senza soldi mi sto pagando debiti del bar… i soldi me li sono tolti alla bocca”, diceva Di Salvo che voleva estromettere Rizzo dalla società.
“Mi tira la sedia”
Lo stesso Rizzo si era rivolto ad una persona rimasta ignota e di cui conosciamo solo il soprannome, il salernitano, che ha fisicamente aggredito Di Salvo. Che diceva: “Franco ma lo capisci che io delle scuse non me ne faccio niente… me lo ha portato per farmi alzare le mani… mi tira la sedia quello quello e dice infame è infame davanti ai cristiani”. Di Salvo ha raccontato l’episodio a Francesco Caponetto, allora reggente della famiglia mafiosa di Villabate, e poi arrestato.
Di Salvo credeva di poter risolvere la faccenda a suo favore ed invece Caponetto gli avrebbe imposto di farsi da parte:
“Me ne devo uscire io che sono padrone… me lo ha detto plateale deve essere così”. A partire dalla agosto 2018 Nicolò Rizzo, tramite la figlia, sarebbe tornato a gestire interamente l’attività commerciale che ora è finita sotto sequestro (l’attività prosegue in amministrazione giudiziaria).