Paolo Rossi era un ragazzo come noi, anche se noi eravamo, all’epoca, bambini, o vecchi. Tutti diventammo ragazzi al quinto minuto di una partita indimenticabile. Scherzo di gambe di Bruno Conti a metà campo, due o tre finte per mandare in confusione i brasiliani. Apertura di collo esterno (oggi non si usa più, oggi si calcia col più comodo ‘interno’) sulla fascia. E chi c’è sulla fascia? C’è il Bellantonio Cabrini che mette in mezzo un cross ‘a banana’, con la parabola a rientrare. I brasiliani guardano. Rossi va di testa, spiazzando Valdir Peres. Italia uno, Brasile zero. Tutto ebbe inizio così.
I brasiliani, basta la parola, appunto, componevano forse una delle migliori squadre di ogni tempo, tolti Serginho e Paulo Isidoro. C’erano Socrates, Zico, Eder, Junior, Edinho (Nazareth Filho), Cerezo, Falcao – che nella pronuncia originale appariva come un sontuoso rapace – Leandro, Oscar… Erano i reucci del pallone. Basta ri-osservare il pari verdeoro. Sono in due e fanno a fette la difesa italiana schierata, munita di gomiti e pedate anti-attacco. Zico si libera di Gentile – il feroce Gentile – con una veronica da torero senza muleta. Il Falco serve la cicogna Socrates in una zona del campo in cui Socrates non c’è. Però ci arriva un secondo dopo, con un battito d’ala, nel giro esatto per battere Zoff sul suo palo con un rasoterra. Molto si discusse della responsabilità del portiere azzurro. Era incolpevole. Come – altro Mondiale, altra accusa – incolpevole era Giovanni Galli, battuto da un’invenzione di Maradona in Messico. Quando il dio del pallone scende in campo, non c’è guardapali che basti.
Avrebbe segnato altre due volte Pablito, mandando a casa gli dei del pallone, da terrestre e ombra mingherlina. Una rasoiata violentissima a punire un passaggio sbagliato dell’immenso Junior (anche gli dei sbagliano i passaggi), un tocco da due passi, sempre con Junior che lo tiene colpevolmente in gioco e poi alza la mano per invocare un inesistente offside. I campioni, quel giorno, si trasformarono in impolverati cimeli. Tentarono, da tori feriti, l’assalto finale. Testa nel mucchio. E Zoff che vola con addosso l’infinito di un ventenne. “Paulo Isidoro”, disse Nando Martellini. Era Oscar. L’israeliano Klein fischiò la fine.
Venne la Polonia di Boniek. C’era Lato, un signore con la pancetta, la calvizie e un piedino fatato. Era un calcio democratico, poteva starci chiunque, purché sapesse trattare l’attrezzo sferico col rispetto dovuto. Uno zio baffuto il cui cognome iniziava con la “M” sorvegliava la porta avversaria. I polacchi scalciavano, picchiavano, menavano da fabbri. L’aggressività non gli impedì di prenderne due (a zero). Imbucata del redivivo Pablito in mischia. Soffice colpo di testa del medesimo su cross di Bruno l’immortale.
E venne la Germania Ovest. In porta Schumacher, che aveva quasi ucciso il francese Battiston, a colpi d’anca, in semifinale. Martellini si confondeva con i fratelli Bernfoster-Carlainzfoster. Rumenigge era un cobra. Urlich (detto Uli) Stielike pareva un impiegato delle poste, però cattivissimo, capitato per caso nell’ordalia del Bernabeu. Littbarski era un Conti platinato. Briegel aveva le movenze di un panzer. Breitner somigliava a un assassino fuggito, alla macchia. Di tutto quello che accadde si ricorda specialmente l’urlo di Tardelli dopo il gol del due a zero. Uno dei pochi casi in cui l’esultanza rimane nella retina più del gesto tecnico e atletico in sé. Che vale la pena di non disperdere, per il fraseggio tra Bergomi e Scirea (ma che ci facevano dalle parti di Harald Toni Schumacher?) concluso con la sciabolata di un ossesso col numero 14 tatuato sulla pelle. Col supergol di Marco si snodano, nella memoria, la gioia di Pertini accanto a re Juan Carlos e lo scopone presidenziale nell’aereo che riportava i campioni del mondo in patria. Quello fu il Mundial-reclame del sogno italiano. Il 2006 è già un’altra storia, contemporanea, con la pay-tv e Caressa, senza Martellini e le foto in bianco e nero. Senza i nostri capelli, senza il nostro cuore di allora.
Ora viene un altro Mondiale, come il miracolo di San Gennaro, per quanto sia infetto, solido o ammuffito, il sangue scorre nelle vene quando c’è l’Italia. Vale perfino per una Nazionale con esigui talenti e, forse, troppi cocci. Livesicilia seguirà le partite dell’Ital-Prandelli, con la diretta di ogni gara sul quotidiano e su Facebook. Si comincia stanotte per la sfida con l’Inghilterra. Non lasceremo soli i nostri lettori, nemmeno in queste notti d’estate che confidiamo magiche. Ci aspettiamo tanto tifo, tanta passione, tanta condivisione, tanti commenti. Sarà bello tornare ragazzi da qui a luglio, nell’incastro magico e irripetibile di una stagione sola. Noi saremo sempre ragazzi, come Paolo Rossi. Siamo sempre stati, canzone più o canzone meno, ragazzi come noi. Con un cuore affollato di balli lenti, d’estate e di gol.