PALERMO – La ruota di uno scooter, una scarpa da tennis e soprattutto delle tracce di saliva. Tre elementi per ricostruire l’identikit dell’assassino, del killer di Porta Nuova che ha ammazzato Giuseppe Dainotti e forse qualche altro pezzo grosso della mafia. Il mensile “S” disponibile in edicola dedica uno speciale intitolato “I Killler sono in giro”. A Palermo si continua a sparare e uccidere. Romano, Calascibetta, Nangano, Di Giacomo e infine Dainotti: c’è il marchio di Cosa nostra in tutti gli omicidi.
Da via d’Ossuna, rione Zisa, inizia il viaggio nell’orrore e nei misteri di una città. I boss chiacchieroni che affidano involontariamente la verità alle microspie sanno stare in silenzio quando c’è da ammazzare qualcuno. I panni sporchi si lavano in casa. I problemi si risolvono all’interno di ogni singolo mandamento. Di questo sono sempre più convinti gli investigatori. Dal silenzio, però, emergono particolari investigativi finora inediti.
Si era fatto più di trent’anni di carcere, Giuseppe Dainotti. Non gli sembrò vero che due anni e mezzo prima dell’appuntamento con la morte, avvenuta il 22 maggio 2017, lo avessero scarcerato. Era stato il factotum del boss Salvatore Cancemi. In cella c’era finito per il colpo miliardario al Monte dei Pegni di Palermo, ma soprattutto per la lupara bianca di Antonino Rizzuto, scomparso nel 1989. Nel 2000 entrò in vigore la legge Carotti che aveva disposto la sostituzione dell’ergastolo con la pena di trent’anni. Nonostante la norma fosse stata superata da un successivo decreto legislativo che sanciva il ritorno al passato, qualche detenuto riuscì a beneficiarne. Da qui la scarcerazione di Dainotti, insieme con Giovanni Matranga, Francesco Mulė e Giulio Di Carlo.
Poco prima delle 8 di una mattina di maggio, Dainotti sta percorrendo la stretta strada che collega corso Alberto Amedeo a piazza Ingastone. È in bicicletta. Gli sparano due colpi. Il primo lo fa stramazzare per terra; mentre il secondo, alla testa, non gli dà scampo.
Chi ha sparato? La prima cosa è cercare l’aiuto dell’occhio elettronico. I killer sono stati bravi o fortunati. C’è una sola telecamera che li ha inquadrati. Il plurale è d’obbligo. Qualcuno guidava lo scooter mentre l’assassino impugnava la pistola. Che scooter? Honda Sh, un modello molto diffuso per le strade della città. In certi quartieri sembra quasi fare parte della tenuta di ordinanza.
Non sono immagini complete, ma pochi frame. Si vede la ruota dello scooter bruciare l’asfalto di via d’Ossuna, in direzione del Papireto, per poi imboccare una delle prime traverse a sinistra. Nessun dubbio neppure sul modello della scarpa indossata dal killer. È una scarpa da tennis. Si tratta di una persona giovane.
Uno scooter e una scarpa da tennis: due elementi che da soli possono volere dire poco. Le cose cambiano se si considera la necessaria agilità che si impone a chi sta seduto sullo scooter e impugna la pistola. La sua non è una passeggiata. Deve ammazzare un uomo. Giovane, agile e con una mira infallibile: caratteristiche che non possono essere risolutive per l’identificazione, ma riducono il campo d’indagine. Del killer, però, i poliziotti della Squadra mobile potrebbero possedere il Dna.
Tutti i particolari sul mensile “S”.