PALERMO – L’impostazione della Procura regge anche in appello. Non c’è solo la mafia palermitana. La sentenza certifica anche in secondo grado l’esistenza di quella nigeriana. Dal rito dell’affiliazione al pentitismo: ci sono tutti gli elementi tipici di Cosa nostra.
La Corte presieduta da Mario Fontana ha inflitto queste condanne: 14 anni per Alaye Samson Obas, 11 anni, un mese e 10 giorni per Ibrahim Yusif (difeso dall’avvocato Giulio Bonanno, aveva avuto 14 anni in primo grado ed è da sempre irreperibile), 6 anni per Kennet Osahon Aghaku, 6 anni per Steve Osagie, 6 anni per Sylvester Collins, 7 anni, 11 mesi e 10 giorni per Osayi Idemudia, 4 anni e 5 mesi per Lucky Monye, 4 anni e 8 mesi mesi per Evans Osayamwen, 3 anni e 6 mesi per anni per Edith Omoregie (difesa dall’avvocato Giuseppe La Barbera, era l’unica donna sotto processo e per lei già in primo grado era caduta la più grave ipotesi di associazione mafiosa), 4 anni e 8 mesi per Vitanus Emetuwa, 4 anni e 5 mesi per Nosa Inofogha, 2 anni e 8 mesi per Austine Johnbull.
Ci sono due assolti: Vicotor Jude ed Efe Airbe (condananti in primo grado a 4 anni e 5 mesi ciascuno), erano difesi dagli avvocati Mariangela Spadafora e Angelo Raneri.
Johnbull è stato stato il primo collaboratore di giustizia dell’organizzazione a svelare i segreti dell’ala palermitana dell’Ascia Nera, Black Axe, nata negli anni ’70 in Nigeria. All’inizio era una sorta di confraternita religiosa, poi divenne una banda criminale con regole ferree, riti di affiliazione ed esplosioni di violenza.
Nel 2013 è stato costituito il “Forum di Palermo”, una costola della cupola nazionale, con base operativa a Ballarò.
I nigeriani sotto processo avrebbero controllato il mercato della prostituzione e lo spaccio di droga tra i loro connazionali a Palermo. L’affiliazione – secondo il nigeriano che ha collaborato – è preceduta da un periodo di “orientation” ossia una sorta di apprendistato nel corso del quale vengono insegnate le principali regole del sodalizio. Durante questo periodo vengono anticipate condotte di pestaggio che poi caratterizzeranno il rito di affiliazione e che servono a sperimentare la capacità del nuovo affiliato di affrontare con coraggio e fermezza la sofferenza. Da qui scaturirebbe la particolare violenza di questa associazione. Il pm aveva parlato di “una organizzazione solida, verticistica e ben definita”.
Il Comune di Palermo e il centro Pio La Torre si erano costituiti parte civile.